Quale destino per il decreto sul secondo ciclo?/2

Ipotesi numero 2
La seconda possibilità può essere quella di richiedere al Parlamento un ulteriore e contenuto prolungamento del termine di scadenza della delega. Se l’iniziativa fosse sostenuta dal ministro dell’istruzione e dalle Regioni, il livello di opposizione potrebbe essere basso. La richiesta avrebbe, infatti, più di un significato rassicurante.
Anzitutto, che il MIUR, per la parte di sua competenza, cioè per le norme generali sull’istruzione e per la determinazione dei Lep per l’istruzione e formazione professionale, intenderebbe procedere coinvolgendo le Regioni. Il tempo dello scontro istituzionale superato.
Il secondo, reciproco del precedente, è che le Regioni dovrebbero nel frattempo definire la loro normativa esclusiva sull’impianto dell’istruzione e formazione professionale secondaria e superiore, tenendo ben presenti le determinazioni ministeriali. Si tratta, del resto, dell’unica soluzione per definire un sistema educativo davvero unitario, ancorché internamente articolato in un percorso dei licei e in un percorso di istruzione e formazione professionale.
Il terzo è che questo lavoro potrebbe intrecciarsi con le norme attuative del Titolo V, rendendole coerenti con lo scenario che si va definendo e che impone una importante ristrutturazione territoriale dell’offerta formativa.
Ultimo, ma non meno importante, messaggio è che anche i dispositivi tecnici messi a punto per la regolamentazione del percorso dei licei (Profilo e Indicazioni nazionali) potrebbero essere coordinati con quelli analoghi approntati dalle Regioni per il percorso dell’istruzione e formazione professionale. Sarebbe infatti stravagante che i docenti del primo percorso si trovassero a lavorare con vincoli e strumenti del tutto o in parte difformi, sul piano tecnico formale, da quelli vigenti nel secondo percorso. Parlare di passaggi e interconnessioni tra i percorsi del secondo ciclo sarebbe infatti a questo punto molto difficile.
Ipotesi numero 3
La terza strada, non realistica per ovvii motivi per la maggioranza, sarebbe deleteria per la scuola e per il Paese: lasciar cadere la delega, come avvenne con il ministro D’Onofrio che, nel 1994, non emanò i decreti applicativi dall’art. 4 della finanziaria approvata nel 1993, che conteneva le disposizioni per l’introduzione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. Come è noto, si è dovuto aspettare fino al 1999 per avere ciò che si poteva avviare già cinque anni prima. Può un paese come il nostro permettersi il lusso di affrontare le sfide di Lisbona senza procedere ad una radicale ed organica riforma dell’istruzione secondaria e superiore? La scuola, da parte sua, può sopportare, senza abbattersi, un ulteriore ribaltamento di impianti ordinamentali e di prospettive?