Pronta la piattaforma contrattuale, i maestri vogliono essere trattati come i prof.

La richiesta al governo è precisa: mettere nero su bianco, nel Dpef che sarà presto varato, l’investimento di 19 mila miliardi per la scuola nel prossimo quinquennio, già promesso dal ministro Moratti.
A Bellaria i sindacati scuola confederali approvano dunque la piattaforma rivendicativa per il rinnovo del contratto scaduto il 31 dicembre scorso, e lanciano un messaggio all’esecutivo: la scuola attende chiarezza sin dal documento di programmazione economica e finanziaria.
Per la prima volta, inoltre, sale nelle scuole la richiesta di uniformare trattamenti giuridici ed economici dei docenti di materna ed elementare (un terzo del personale scolastico a contratto) a quelli della scuola secondaria.
In alcuni documenti diffusi in questi giorni, i maestri, anche in forza della crescente presenza tra di loro di laureati, chiedono che in occasione del rinnovo del prossimo contratto della categoria vengano sanate le differenze giuridiche e stipendiali esistenti.
Bisogna precisare che nelle piattaforme sindacali, confederali e non, la questione dell’equiparazione, almeno in parte, è prevista soprattutto per quanto riguarda gradualmente l’uniformità degli orari di servizio settimanale (lo prevedeva anche il programma quinquennale della legge sui cicli).
Intanto tra gli emendamenti presentati al Senato sul disegno di legge di riforma ce n’è uno, presentato dal senatore Asciutti (Forza Italia), che per il corso universitario quadriennale in scienze della formazione primaria (laurea per i maestri) prevede che “l’esame finale ha valore di esame di Stato ed abilita all’insegnamento, nella scuola materna o dell’infanzia e nella scuola elementare o primaria”. Proprio come succede già per la scuola universitaria di specializzazione per insegnanti della secondaria (Ssis). Le richieste dei maestri sembrano, dunque, aver già trovato in qualche modo ascolto. Vedremo cosa accadrà in Parlamento e sui tavoli delle trattative sindacali.