Primo soccorso a scuola: solo 1 studente su 3 saprebbe come intervenire. E tutti vorrebbero saperne di più

Rendiamo obbligatorio un corso di primo soccorso a scuola, non limitandoci alla teoria ma insegnando le tecniche che un giorno potrebbero tornare utili per salvare una vita. È una richiesta che gli studenti italiani fanno a gran voce. In particolare, 9 ragazzi su 10 vorrebbero capire come comportarsi in caso di arresto cardiaco se accadesse ad un proprio amico. Perché, nonostante le campagne d’informazione e sensibilizzazione sul tema – come Viva! La settimana per la rianimazione cardiopolmonare – è ancora scarsa la cultura sanitaria in questo campo, soprattutto tra i più giovani. Skuola.net lo ha capito effettuando una ricerca – in collaborazione con IRC (Italian Resuscitation Council) – che ha coinvolto circa 10mila ragazzi tra gli 11 e i 25 anni. Intanto dal prossimo febbraio partirà in via sperimentale il progetto di primo soccorso a scuola.

Più che impreparati, gli studenti sono spaventati dall’idea di dover intervenire in aiuto del proprio compagno di banco in caso di arresto cardiaco. Solo 1 su 3 procederebbe nel modo giusto: per prima cosa iniziando a chiamarlo e a scuoterlo leggermente; dopodiché, se non dovesse riprendersi, piegandogli la testa all’indietro, alzandogli il mento e controllando se il suo torace si alza e si abbassa per valutare la presenza della respirazione. E gli altri? Confusione totale: il 9% confessa che entrerebbe subito nel panico, il 18% prenderebbe a schiaffi l’amico per risvegliarlo, il 38% nel dubbio chiamerebbe immediatamente i soccorsi senza prima verificare se il problema sia davvero grave. Anche perché, per capire se il soggetto respira, il 31% gli metterebbe le dita sotto il naso e il 38% gli appoggerebbe l’orecchio sul torace per ascoltare se c’è ancora battito cardiaco (sbagliando in entrambi i casi).

Partendo da queste premesse è quasi scontato che, se fosse davvero in corso un arresto cardiaco, la ‘reazione’ del soccorritore non sarebbe proprio il massimo. È vero che la stragrande maggioranza – 77% – chiamerebbe (ora sì che è corretto) i soccorsi via telefono senza allontanarsi dalle persona a terra. E che il 13% chiederebbe aiuto ai genitori o a un altro adulto (in questo caso, però, perdendo del tempo prezioso). Ma 1 su 10 si bloccherebbe, non sapendo dove mettersi le mani. Una volta in collegamento telefonico con l’operatore, con una voce guida che li aiuta a muoversi, le cose non migliorano: solo il 29% dei ragazzi intervistati afferma di avere elementi a sufficienza per eseguire le indicazioni; il 16% ammette che non saprebbe da dove iniziare; la maggior parte però – il 55% – cercherebbe comunque di darsi da fare.

Anche se è difficile che l’intervento vada a buon fine. Visto che solo 6 studenti su 10 sanno che la posizione migliore per praticare un massaggio cardiaco è con il corpo adagiato a pancia in su (il 31% lo lascerebbe nella posizione in cui si trova, il 3% lo metterebbe addirittura a faccia in giù, il 6% come capita). E che appena 2 ragazzi su 10 sanno che il numero di compressioni da effettuare sul torace deve essere tra le 100 e le 120 al minuto (il 56% ne ritiene, erroneamente, sufficienti tra le 30 e le 50; il 14% tra le 80 e 100; l’8% esagera con 120-140).

“Insegnare la rianimazione cardiopolmonare nella scuola italiana è un segno di civiltà per un paese che vuole restare al passo con le linee guida internazionali di settore – afferma Andrea Scapigliati, presidente di Italian Resuscitation Council – La campagna ‘Kids save lives’ che promuoviamo in Italia in collaborazione con i partner europei di European Resuscitation Council prevede l’introduzione di 2 ore all’anno di insegnamento della rianimazione cardiopolmonare a partire dall’età di 12 anni in tutte le scuole del mondo. Siamo orgogliosi di portare in Italia questa strategia internazionale”.