Precari ora e sempre?

Molti di quelli che in Italia ci ostiniamo a chiamare indistintamente "precari", nel resto del mondo sono normali lavoratori a tempo determinato, che hanno rapporto con singole scuole o distretti, e considerano normale – e in qualche caso perfino vantaggiosa – la loro condizione di prestatori d’opera non legati organicamente a una pubblica amministrazione: una condizione comparabile a quella dei liberi professionisti, che consente ad alcuni di loro di negoziare il proprio trattamento contrattuale e retributivo.
Succede là dove sono le scuole o i distretti a offrire posti e a reclutare il personale docente, e non esistono le sterminate liste numeriche di aspiranti a un posto qualunque, tutti accomunati nella categoria del "precariato", come avviene da noi.
Una categoria che malgrado le recenti massicce immissioni in ruolo – 50.000 unità – continua a crescere, come confermano i dati recentemente forniti dal ministero della pubblica istruzione secondo i quali gli aspiranti insegnanti sono quasi 300 mila, in aumento del 20% rispetto all’anno precedente (aumento dovuto all’inserimento nelle graduatorie a esaurimento, ex "permanenti", di 50.000 nuovi nominativi, ammessi con riserva di conseguimento dell’abilitazione).
Il fatto è che anche prevedendo l’assunzione di altri 100.000 precari tra il settembre 2008 e il settembre 2009, ci saranno a quella data altri 200.000 abilitati che aspireranno a loro volta ad essere sistemati, e facendo parte di una graduatoria ad esaurimento si percepiranno come tutti e indistintamente "precari", destinati oltretutto a lunghe attese.
Forse occorrerebbe uno scatto di fantasia politica e organizzativa per uscire da questa logica di rassegnata attesa di un posto qualunque e dovunque. Forse si potrebbe provare a riflettere su qualche sperimentazione organizzativa che dia alle scuole e agli stessi aspiranti all’insegnamento maggiori possibilità di scelta e di incontro tra domanda e offerta. Non sarebbe mai troppo tardi.