Piano estate: un ponte verso cosa?

Il piano estate è stato presentato dal governo come un “ponte” a tre arcate fra l’attuale anno scolastico e il prossimo. Un ponte collega, di norma, due parti di uno stesso territorio come fa, per esempio, un ponte che scavalca un fiume. Si deve intendere che una volta attraversato il ponte troveremo la stessa scuola di prima? Ed è lo scenario da augurarsi?

In primo luogo ci permettiamo di avanzare qualche dubbio sull’effettiva efficacia del “recupero” del cosiddetto learning loss, affidato alla prima fase (giugno), dedicata a “interventi personalizzati e/o di gruppo, a compensazione di quanto è venuto a mancare”, e alla terza (settembre), di “rinforzo delle competenze disciplinari e relazionali”, in previsione del nuovo anno. Dipende molto da come avranno lavorato le scuole. In generale, l’esperienza dei corsi di recupero e simili ha mostrato la scarsa utilità di questi interventi, e la seconda arcata del ponte (luglio e agosto), incentrata sulle attivitàC.A.M.PU.S. (Computing, Arte, Musica, vita Pubblica, Sport), ad adesione facoltativa da parte delle scuole (il 36% non ha aderito) e delle famiglie, difficilmente potrà garantire il recupero degli apprendimenti perduti, anche perché non è questa la loro finalità e la maggior parte delle attività sarà affidata al terzo settore, attraverso i “patti educativi territoriali”, e non agli insegnanti delle scuole.

Insomma il “recupero” va programmato su un arco di tempo maggiore e all’interno di un disegno di rinnovamento che Tuttoscuola sintetizza con lo slogan “dall’insegnamento trasmissivo all’apprendimento coinvolgente”.

La domanda da porsi allora diventa: sarebbe utile il ritorno a una scuola che resta gerarchizzata, che esclude i suoi alunni più fragili, che rimane disciplinarista e dura un anno di più rispetto ai Paesi leader del mondo contemporaneo (USA, Cina, buona parte dell’Europa comunitaria, Russia ecc.)? È questa la scuola verso la quale porta il “ponte”? Non ce lo auguriamo, e ci sembra che per fortuna non se lo auguri neanche il ministro Bianchi, che continua a insistere sull’idea che il prossimo anno scolastico sia anche un anno “costituente”, cioè di profondi cambiamenti.

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