Percorsi professionali sperimentali: più spazio alle Regioni

Le Regioni avranno più spazio nella definizione dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale che partiranno, almeno sulla carta, nel prossimo mese di settembre, in parallelo con i normali corsi scolastici.
L’accordo quadro tra lo Stato e le Regioni, approvato dalla Conferenza unificata il 19 giugno 2003, rinviava a “specifiche intese da sottoscrivere tra ciascuna Regione, il MIUR e il Ministero del lavoro, recanti le modalità, anche differenziate, con le quali sono attivati i percorsi (…)”. Il problema è il peso che avranno tali “modalità anche differenziate“. L’ultima bozza di protocollo di intesa-tipo non contiene più i riferimenti alle tipologie nazionali contenuti in una prima stesura, e consente quindi a ciascuna Regione di mettere l’accento sulle proprie specificità e “differenze”, col solo vincolo della durata triennale dei corsi.
Diventerà così più difficile individuare, e soprattutto far rispettare, gli “standard formativi minimi”, finalizzati a consentire il riconoscimento a livello nazionale dei crediti, delle certificazioni e dei titoli che saranno rilasciati dalle Regioni alla fine dei corsi. L’accordo quadro indica la data del 15 settembre 2003 per la definizione degli standard, cui si dovrebbe pervenire attraverso un “percorso articolato di partenariato istituzionale, in raccordo con il livello regionale”. Una formula faticosa che non riesce a nascondere il fatto che gli standard arriveranno a posteriori, e che dovranno “coprire” realtà di fatto molto diversificate tra Regione e Regione.
Più che di “sperimentazione” si dovrebbe parlare di misure urgenti, di accordi transitori, di riordino della ex formazione professionale regionale in vista del varo del “sistema di istruzione e formazione professionale” previsto dalla riforma Moratti, che non potrà non avere veri, e rispettati, standard nazionali: che, come tutte le regole di sistema, dovranno essere stabiliti a priori, non a posteriori.