Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Perché ci costa tanto rispettare le regole?

Un pacchetto di sigarette vuoto, accartocciato nervosamente e gettato per strada, con naturalezza, di fronte a tutti.
Bottiglie di birra bevute al chiaro di luna e abbandonate con simpatica noncuranza sui gradini di una chiesa. Il rosso è già scattato, ma le auto continuano ad infilarsi lo stesso, rischiando di entrare in collisione con chi avanza col verde, dalle vie laterali. Si fa la fila in un negozio o in un ufficio, magari col numeretto, ma non si resta tranquilli: si è sempre con il timore che qualcuno possa passarci innanzi…

Sono gli atteggiamenti tipici del nostro popolo, una specie di “morbus italicus” da cui non riusciamo ancora a liberarci e che, in certe zone del paese, tende ad aggravarsi.
Così, in alcune latitudini della penisola, il pacchetto di sigarette o lo scontrino, possono diventare la busta di spazzatura, lo scatolone o… un lavandino. Oppure, al semaforo, anziché passare all’inizio del rosso, si transita tranquillamente in pieno rosso e, se provi a fermarti, ti suonano dietro quasi sia tu il fuorilegge, e non loro. O invece, può capitarti di scorgere, in un ufficio postale, uno sportello, prima chiuso, che si apre all’arrivo di un avvocato, di un carabiniere…

Ma perché questo costume umiliante. Cosa abbiamo di diverso dagli altri popoli? I sociologi, gli storici, cosa ne dicono? La storia, in particolare, deve dare una risposta. Perché tutti, in particolare i giovani, possano comprendere e, magari, impegnarsi in una maturazione morale. E’ ciò che si chiama, appunto, educazione alla legalità.

Prima risposta. In alcune zone d’Italia, il feudalesimo con le sue vessazioni, è finito l’altro ieri. In altre, al centro ed al nord, è terminato, invece, molto prima, grazie all’esperienza dei comuni e degli stati regionali che hanno attivato, nel cittadino, sentimenti di soggettività democratica. Ecco perché, in alcune regioni del paese, si hanno delle case internamente sontuose, ma l’ambiente esterno è considerato “estraneo” e lo Stato, un nemico.
Poter distruggere ciò che è di tutti, comprese le leggi, è quasi gratificante.
Nelle aree geostoriche che hanno fatto maggiore esperienza di latifondismo opprimente e potere mafioso, è stato interiorizzato un messaggio deleterio: che riuscire a trasgredire una norma è segno di abilità, di potere, che le leggi valgono per chi è socialmente insignificante.

Seconda risposta. Un certo tipo di cattolicesimo, tollerante ed accomodante, ci avrebbe indotto a trasferire la realtà sociale, con le sue norme, in ambito coscienziale. Col sottinteso che Dio è misericordioso e perdona sempre: “Cosa può importare a Dio se non indosso le cinture, se brucio pneumatici in campagna? Lui sa che adesso ho molta fretta e non posso attendere il verde”.

Terza risposta. I romani, nostri antenati, hanno generato, oltre al senso dello Stato e della legge, il diritto privato. Essi possedevano un forte culto dell’intimità familiare. Le “domus” romane, prive di finestre esterne, erano come ripiegate verso l’interno, ove si schiudeva tutto un mondo di giardini, porticati, sale. Il senso della famiglia e del privato, costituisce, dunque, anche per noi, sia un pregio che un limite. Basta un lieve tamponamento (diritto privato), per creare chilometri di fila, in barba alla logica del bene comune. Ed il malore del signor Rossi mette in moto ambulanze a sirene spiegate che gridano a tutti, anche a chi non interessa, con la voce teatrale di una tragedia greca, che il signor Rossi sta male.

Cresceremo, cresceremo, anche noi. Soprattutto se ci premerà farlo.

Luciano Verdone
Docente di Filosofia – Liceo classico “Delfico” – Teramo

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