Per un démos europeo nella formazione

Cosa prevedono le riforme educative dei Paesi dell’Unione per avvicinare di più i giovani all’Europa? Possono bastare i succinti riferimenti che i programmi scolastici fanno alla dimensione europea dell’insegnamento perché l’Europa divenga più unitariamente credibile? Possono essere ritenuti sufficienti gli intenti programmatori di alcuni Vertici europei perché l’Europa sia realmente più amata e sentita come la grande casa da molti pensata come comune? E non rischia quella che alcuni sognano come utopia di vacillare ulteriormente sotto la spinta di movimenti ideologici che tendono a “decostruire” una identità collettiva in via di edificazione per contrapporle,come molti notano, “singole” identità,quando non localismi,aree di solitudine e di isolamento?
Come si deve operare per far amare di più l’Europa, soprattutto dai giovani, visto che gli adulti sono cresciuti e hanno vissuto in realtà imprigionate a lungo nella paura, nella diffidenza, molto spesso nell’odio? E cosa ci si può attendere dagli adulti, se questi, per ciò che si è appena notato, sono spesso disarmati o svogliati o increduli o cinici?
Come si può costruire un’immagine dell’Europa che susciti stima, appartenenza, coesione, senso della comunità? Come spesso accade nella storia dei popoli, si deve sperare nell’azione di élites intellettuali che, tuttavia, come qualche tempo fa notava A. Cavalli, riducono non di rado i tratti culturali dell’Europa a vizi o a dubbie virtù (individualismo, localismo, fragilità d’etica pubblica, indisciplina). E quale peso dare, per il fine che auspichiamo, alla memoria più che al progetto? Dobbiamo essere lieti, o piuttosto temere, dilatandola all’area europea, la risposta che, in un romanzo di Pavese, un professore dà ad un giovane che gli chiede se ama l’Italia: in verità amo gli italiani.
Sono interrogativi che non smettono di girarci per la testa in un momento peraltro difficile in cui occorre rimettere in piedi un testo costituzionale assai compromesso da alcune importanti riserve. Amare l’Europa si può, ma se è vero ciò che osservò Nietzsche -“l’amore è lo stato in cui l’uomo vede le cose diverse da come sono” -si deve, forse, ricorrere anche all’uso della ragione, per tentare di conoscere meglio una realtà che accusa ancora molti limiti, ma, comunque, non smette di sorprenderci per la sua tenuta nel tempo e per la visione che ci offre del futuro.
Amore e ragione, come ragione e fede, non si respingono. Anche la ragione sta dalla parte di un’idea unitaria, non fragile e scissa dell’Europa: il cammino intrapreso da questa, non senza fatica e non senza parentesi di orrori, per costruire nel tempo una cultura fondata sulla libera ricerca, sul riconoscimento di tutte le identità culturali, sulla dimensione globale e aperta dei problemi che interessano l’esistenza dell’uomo, su una visione democratica delle regole che disciplinano i rapporti sociali, sui valori dell’etica e del dialogo, della dignità, del solidarismo.
Come fare per rafforzare questi elementi che possono creare e far crescere il senso collettivo tra gli europei? La speranza può essere affidata anche all’economia, all’interesse che pure, alle volte, unisce, genera blocco e comunanza. La certezza sta, però, nell’educazione, in un impegno continuo, prolungato nella vita degli uomini e delle società, unico “poetico” fattore di reale e appagante comunione delle consapevolezze che possono ritrovarsi, come sostiene J Habermas, intorno ad un’Europa delle anime, dopo essersi ritrovati intorno a quella della moneta.
Le riforme educative possono lavorare in questa direzione, devono farcela; hanno, però, bisogno di essere alimentate non solo da simboli identitari quanto da una vera idea di cultura che sottolinei fortemente l’intenzionalità degli uomini europei di perfezionare e rendere credibili sia i segni di quello che alcuni chiamano incivilimento (i segni della cultura materiale), sia le forme della cultura personale (le conoscenze, i valori, i linguaggi).
Il Circolo di cultura politica “A. Spinelli” di Milano ha recentemente posto sul tappeto una domanda: vi sono elementi per parlare di un “démos europeo nella formazione non certamente basato sulla nazione europea (che non c’è) ma su ciò che è nato nella cultura, nel costume, nel comune sentire a partire da cinquant’anni di unificazione in campo politico, economico e sociale? L’amore per l’Europa e l’uso della ragione inducono a dare una risposta affermativa.