Pantaleo non parla tedesco. Ma neanche Confindustria

In questi ultimi tempi, forse anche in conseguenza del ruolo egemonico esercitato di fatto in Europa dalla Germania di Angela Merkel, si è tornati a parlare del ‘sistema duale’ tedesco, indicato come un modello positivo di riferimento anche per l’Italia.

Lo si è fatto, però, senza avere in genere una precisa conoscenza di che cosa sia e come funzioni tale modello che ha le sue radici nell’impresa, non nella scuola. Non saranno certo le 200 ore in alternanza nel triennio degli istituti tecnici proposte dal governo a rendere duale un modello formativo che resta scuolacentrico. E neppure la timida apertura verso una più stretta collaborazione formativa con il sistema produttivo costituita dalla sperimentazione di una piccola esperienza di apprendistato per 145 alunni distribuiti in sette istituti, come da recente accordo Miur-Enel: 280 ore  nel quarto e quinto anno, corrispondenti a un giorno a settimana. In Germania è il contrario: quattro giorni in azienda e uno-due a scuola.

Eppure è bastata questa modesta sperimentazione per indurre il segretario della Flc Cgil, Mimmo Pantaleo, ad opporsi frontalmente all’iniziativa. “Riteniamo che l’alternanza non debba essere confusa con l’apprendistato. Non è un contratto di lavoro ma una modalità innovativa sul versante didattico”. I percorsi perciò “devono essere progettati, attuati e verificati sotto la responsabilità delle istituzioni scolastiche. Le proposte del Governo si muovono in senso opposto, favorendo l’ingresso dei privati e affidando alle imprese compiti didattici e formativi che competono alle scuole”. Niente duale alla tedesca, dunque, visto che tale modello si regge sul carattere strutturalmente formativo del lavoro in azienda.

Se Pantaleo non parla tedesco, si potrebbe ritenere, lo farà Confindustria. E invece no. Intervenendo ai lavori dell’assemblea nazionale della Cisl scuola, svoltasi la settimana scorsa a Tivoli Terme, il responsabile Education dell’organizzazione degli industriali Ivanhoe Lo Bello è stato molto prudente, affermando di “non pensare affatto alla scuola come a un luogo di produzione industriale”, che la scuola è “molto più complessa” di un’azienda e così via.

Fin qui va bene. Ma non c’è stato neanche un cenno a un possibile più diretto impegno di Confindustria e delle imprese ad essa aderenti ad avviare un modello duale ‘alla tedesca’. Forse perché sarebbe troppo costoso (le aziende tedesche sostengono gran parte dei costi, compresa la retribuzione degli apprendisti-studenti), e probabilmente anche perché in Italia la competenza regionale in materia di formazione professionale rende impraticabile quella grande triangolazione tra Governo centrale (federale), sindacati e imprese dei vari settori che è alla base della legittimazione nazionale del sistema duale e delle qualifiche da esso rilasciate.

Una cosa è certa: non si possono invidiare e prendere a riferimento i risultati che ottiene il sistema tedesco se non si ritiene applicabile in Italia quel modello né si implementa con convinzione e chiarezza un efficace modello alternativo.