Pagnoncelli: ‘Gli insegnanti hanno bisogno di rispetto’

Critici verso un sistema afflitto da mille problemi, ma tutto sommato soddisfatti della propria scuola, o di quelle frequentata dal proprio figlio. Provati dall’emergenza pandemica e dalle misure di contrasto al contagio, percepita comunque come un’occasione di crescita professionale. Soddisfatti del proprio lavoro, anche se lo si considera scarsamente retribuito. La burocrazia eccessiva come principale fattore problematico per i dirigenti, mentre per i docenti lo sono anche l’eccessivo numero di alunni e la scarsa collaborazione delle famiglie. Si avverte, da parte di insegnanti e dirigenti, un forte bisogno di formazione. Sono alcuni degli aspetti che emergono dalla ricerca “Comprendere la scuola oggi”, realizzata per conto della CISL Scuola dall’IPSOS. Ne parliamo con il Presidente dell’istituto di ricerca, Nando Pagnoncelli.

Presidente, quali sono i dati a suo avviso più sorprendenti emersi dall’indagine che il suo istituto di ricerca ha portato avanti per comprendere i punti di vista di docenti, genitori e dirigenti scolastici?

“I principali sono due. Da un lato, non mi aspettavo la diversa percezione emersa nell’indagine tra la scuola che si frequenta – faccio riferimento alle opinioni espresse dai genitori – e che è investita di giudizi positivi  e il sistema scolastico che invece è un poco più svalutato. E’un fenomeno che abbiamo riscontrato anche in altri ambiti ma non in modo cosi accentuato. E’come dire: “conosco la scuola, conosco gli insegnanti dei miei figli, conosco il dirigente scolastico e ne ho un giudizio sostanzialmente positivo ma il sistema scolastico italiano in generale mi soddisfa meno”. Un secondo elemento che mi ha sorpreso è l’atteggiamento degli insegnanti: vivono il tema della formazione come molto importante per loro. Mi aspettavo un panorama un poco diverso, immaginavo docenti appagati rispetto al loro livello formativo. Invece abbiamo riscontrato un importante bisogno di formazione e la consapevolezza che non ci si possa sedere sugli allori: non si può mai essere soddisfatti del sapere acquisito”.  

Nel rapporto “Comprendere la scuola” ha rilevato qualche variazione di opinioni in relazione all’età dei docenti?

No, devo dire che le differenze sono minime. C’è una certa trasversalità nell’esigenza di formazione avvertita dagli insegnanti perché è una esigenza che parte dalla consapevolezza della complessità crescente del loro ruolo nella scuola. E’ questo un elemento positivo che emerge dalla ricerca.

C’è un aspetto emerso dall’indagine che risulta pienamente in linea con le vostre aspettative?

L’elemento più scontato è l’insoddisfazione dei dirigenti scolastici: sono stati in prima linea nell’emergenza covid, vivono un livello di insoddisfazione e di frustrazione molto elevato per non aver potuto dare le risposte auspicate in un contesto certamente complesso, caratterizzato da molte incognite e da normative che cambiavano rapidamente per contenere il rischio di contagio: provvedimenti adottati anche nella serata o nella notte perché si è venuti a conoscenza di un contagio. All’inverso, un altro elemento che non mi aspettavo uscisse in queste dimensioni è il peso della burocrazia. Gli insegnanti, e non solo i dirigenti scolastici, lo evidenziano come l’elemento critico maggiore: è un aspetto che inevitabilmente impatta sui tempi e sulle motivazioni dei docenti e dei dirigenti scolastici. Altra cosa che mi ha colpito, anche qui in termini positivi, è l’atteggiamento non di lamentela per tutto quello che si è vissuto. Sappiamo quanto la scuola sia stata fortemente messa a dura prova durante l’emergenza scolastica e proprio per questo mi colpisce molto questo elemento di “non ripiegamento” sulla lamentela.

Emerge qualche dato significativo sul sud?

Anche nel sud, emerge  proprio la consapevolezza del ruolo nonostante le maggiori difficoltà che si sono rilevate, ad esempio per la didattica a distanza e per tutta una serie di aspetti che hanno avuto un impatto molto forte rispetto al poter svolgere il proprio ruolo. Mi ha colpito molto anche il fatto che una parte non piccola di insegnanti ritiene che anche il Covid sia stato un’occasione di crescita: in qualche modo stanno cercando di capitalizzare anche questa esperienza così drammatica che, per certi versi, ha messo in discussione dei punti fermi e dei punti di riferimento ai quali eravamo abituati.

Cosa non ha funzionato nelle varie riforme della scuola?

Noi siamo parte di un gruppo internazionale quindi ci confrontiamo sul tema anche con i colleghi degli altri Paesi. Quel che è accaduto in Italia è che sono stati introdotti dei cambiamenti, delle riforme, senza però che siano stati preceduti da un opportuno ascolto delle componenti della scuola. All’estero si interpellano i docenti, i dirigenti scolastici, le famiglie e gli studenti ma perfino il mondo delle imprese e quindi spesso anche i direttori del personale, proprio per capire quali siano le loro aspettative.  L’ascolto preliminare può aiutare ad adottare nel modo migliore una  riforma.

Questi dati ci danno qualche indicazione sul sistema di reclutamento dei docenti?

Sì, abbiamo fatto un approfondimento per capire quale sia, sostanzialmente, il sistema auspicato.

E quale è il sistema di reclutamento che i docenti hanno dichiarato di prediligere?

Quando abbiamo chiesto ai docenti, a prescindere dell’attuale sistema di reclutamento, quale sia secondo loro la formula migliore per accedere all’insegnamento, il 16 % ha risposto: laurea generica più concorso; il 36% laurea abilitante cioè specifica per la professione di insegnante più il concorso; ma quasi uno su due pensa che la strada sia la laurea abilitante con accesso diretto alle graduatorie. Questa è l’articolazione delle opinioni rispetto alle diverse forme di reclutamento.

La maggior parte dei docenti vorrebbe quindi un accesso al ruolo senza concorso?

Si una laurea abilitante con accesso diretto alle graduatorie.  Il concorso ha un’immagine molto svalutata in generale, non solo per gli insegnanti.  

Si è fatto l’idea che la scuola in questo periodo storico stia riuscendo ad attrarre i migliori talenti?

Ho l’impressione che non sia così perché c’è stata nel tempo una svalutazione del ruolo sociale degli insegnanti, legata a vari fattori. Innanzitutto è cambiato il rapporto scuola famiglia, come si chiamava una volta. Il patto educativo viene immaginato come una sorta di alleanza tra la scuola, gli insegnanti e i genitori ma oggi questo tipo di patto è un po’ svuotato di significato.

 Perché?

Molte ricerche evidenziano un atteggiamento da parte dei genitori volto a difendere il proprio figlio, a proteggerlo, a non metterlo in discussione. Spesso vediamo una delega accuditiva ai nonni ma non educativa.  Si tende a non accettare che tutto ciò che in qualche modo può essere vissuto come un dubbio rispetto alle capacità di apprendimento del proprio figlio possa avere un elemento di oggettività. L’atteggiamento rilevato è quasi sempre quello del sindacalista del figlio. Non deve esserci un atteggiamento fideistico nei confronti dell’insegnante ma non può nemmeno esserci un atteggiamento critico a priori. E questo è un primo elemento. Un secondo elemento è il cambiamento del ruolo sociale dell’insegnante: la considerazione sociale passa anche attraverso gli aspetti retributivi. Perché una professione possa essere attraente o meno debba essere sicuramente caratterizzata da una reputazione elevata e da una remunerazione adeguata per il tenore di vita a cui ha diritto un insegnante.

Spesso la remunerazione diventa un elemento di valutazione dell’importanza di una funzione…

Racconto un aneddoto di cui avevo parlato con Floris che lo ha infatti riportato nel suo ultimo libro. Un professore universitario di un paese in provincia di Bergamo era solito entrare in una macelleria e sentirsi dare del lei. Un giorno il macellaio gli chiese quanto guadagnava. Dopo aver sentito la risposta passò dal lei al tu. Gli insegnanti hanno bisogno di rispetto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA