
Orientamento post diploma: più consapevolezza tra i maturandi, ma la strada è ancora lunga

A pochi giorni dall’esame di maturità, la domanda che migliaia di studenti si pongono resta sempre la stessa: cosa fare dopo il diploma? Una questione cruciale, capace di influenzare il percorso formativo e professionale di ciascuno. Eppure, secondo l’Osservatorio “Giovani e Orientamento” promosso da Skuola.net e Gi EDU (divisione educativa di Gi Group), solo il 29% dei neodiplomati dichiara di avere un’idea precisa sul proprio futuro.
Il dato, emerso da un’indagine condotta su un campione di 1.000 studenti, fotografa una realtà ancora fragile. In Italia, infatti, il mismatch tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e i percorsi intrapresi dai giovani resta una delle principali criticità del sistema educativo. Alla base, spesso, un orientamento scolastico poco strutturato o tardivo.
Segnali di miglioramento, ma persistono zone d’ombra
Non mancano, tuttavia, segnali incoraggianti: rispetto al 2023, la quota di giovani con le idee chiare è aumentata del 30%. Si riduce anche – seppur di poco – il timore di restare intrappolati nella condizione dei NEET: nel 2024, a temerlo era il 10% in meno rispetto all’anno precedente. Un’inversione di tendenza forse legata all’introduzione, nel 2023, della riforma dell’orientamento, che ha previsto 30 ore annue obbligatorie per gli studenti delle superiori.
Ma se l’orientamento entra finalmente nella didattica curricolare, resta ancora da valutarne l’efficacia. Un secondo studio, realizzato da Gi EDU in collaborazione con la Fondazione ANP (Associazione Nazionale Presidi), mostra che in 9 istituti su 10 l’orientamento si riduce ancora a momenti informativi generici. Soltanto il 17% dei maturandi li ha trovati “molto utili”. Per il 52%, l’esperienza è stata poco o per nulla efficace.
Il nodo della qualità e del coinvolgimento
I motivi? Troppa teoria, poca connessione con la realtà. Il 50% degli studenti che ha criticato i percorsi svolti li ha trovati noiosi, distanti, poco incisivi. Un orientamento centrato quasi esclusivamente sull’università – il 57% riferisce che si è parlato quasi solo di corsi accademici – rischia di escludere altre opzioni formative o professionali. Intanto, cresce il desiderio di esperienze concrete: il 43% degli studenti vorrebbe attività pratiche, il 30% visite ad aziende o enti, il 10% incontri con professionisti.
Eppure, dal lato delle scuole, la percezione è diversa: oltre il 70% afferma di aver organizzato visite aziendali, il 44% anche stage e tirocini. Un disallineamento che chiama in causa non solo la quantità ma la qualità e la rilevanza delle attività proposte.
Docenti in prima linea, ma serve formazione
Uno dei nodi più delicati riguarda la preparazione dei docenti. Solo il 3% viene ritenuto dai dirigenti realmente adeguato a svolgere il ruolo di orientatore. E quasi il 70% dei presidi ammette di aver bisogno di supporto nella formazione del personale. Il 45% chiede l’intervento di esperti esterni per la progettazione e l’erogazione dei percorsi, il 40% invoca soluzioni innovative.
“La recente riforma dell’orientamento ha riacceso l’attenzione su un ambito essenziale ma finora sottovalutato”, osserva Alessandro Nodari, Candidate Management & Employer Branding Senior Director di Gi Group. “Tuttavia, affinché sia davvero efficace, l’orientamento deve partire presto, coinvolgere competenze diverse, integrarsi nella cultura didattica e parlare il linguaggio dei ragazzi”.
Un laboratorio permanente per orientarsi nel cambiamento
Per affrontare in modo sistemico il fenomeno, la Fondazione Gi Group ha attivato il laboratorio permanente “Dedalo”, che monitora in modo continuativo il rapporto tra giovani, scuola e mercato del lavoro. Un contributo utile, in un tempo in cui l’orientamento non è più solo una funzione accessoria, ma una leva strategica per contrastare dispersione, disoccupazione e disuguaglianze.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Solo gli utenti registrati possono commentare!
Effettua il Login o Registrati
oppure accedi via