
Nel panorama complesso della dieta mediterranea un posto di rilievo è occupato dall filiera dell’olio di oliva. Si tratta in effetti di un genere di grasso vegetale assolutamente compatibile con una corretta alimentazione, come mettono in mostra anche tanti progetti sbarcati nel frattempo nelle scuole.
A tal proposito l’olio d’oliva ottenuto dalla sola lavorazione ,meccanica o fisica delle olive, nel corso del 2006, ha abbattuto il muro del miliardo di euro di esportazione, con un aumento rispetto al 2005, di quasi l’11 per cento. In questo modo l’Italia si conferma leader mondiale del settore oleolivicolo rispetto a tutti i relativi parametri economici ad esclusione di quello della produzione, ormai saldamente in mano alla Spagna che, negli ultimi 20 anni, a fronte di una media costante italiana di 6 milioni di quintali, è balzata da tre a oltre 10 milioni di quintali l’anno. E’ quanto sottolinea la Cia-Confederazione italiana agricoltori sulla base dei dati Istat sul commercio estero dell’olio d’oliva nel 2006, dai quali viene anche evidenziata una notevole diminuzione delle quantità esportate ed il raggiungimento di un numero di paese inferiore a quello degli scorsi anni.
Se importiamo olio dai nostri maggiori fornitori, nell’ordine Spagna, Grecia, Tunisia, Turchia, Siria e Marocco soprattutto per soddisfare -continua la Cia- i consumi interni, ne esportiamo quasi altrettanto, ma di valore e qualità superiori.
Il primo mercato di esportazione è rappresentato dagli Stati Uniti che, nel 2006, hanno acquistato olio italiano per oltre un milione e 200 mila quintali ed un valore di quasi 500 milioni di euro, seguiti dalla Germania con più di 376 mila quintali per un valore di 167.405.153 euro e, quindi Francia, Giappone, Regno Unito, Canada, Australia, Svizzera, Olanda e Belgio. Ottimi risultati sono stati conseguiti nei Paesi dell’Est nuovi membri dell’Unione europea come, Polonia, Romania, Ungheria, Repubblica Ceca, Estonia e Bulgaria, nonché in Russia, Ucraina e Bielorussia e nei Paesi emergenti quali Cina, Brasile e Messico.
In definitiva -rileva la Cia- luci e ombre si alternano e si compensano in un settore che, accanto ai buoni risultati nelle esportazioni, non ha saputo stare al passo dal punto di vista della organizzazione produttiva e la cui competitività internazionale dipende più da fatti occasionali che non da una perseguita programmazione di sviluppo.
Per non mettere a repentaglio le buone possibilità di sviluppo d uno dei fiori all’occhiello del “made in Italy” è perciò necessario -conclude la Cia- agire bene e in fretta, d’intesa fra le istituzione e il mondo produttivo, prima che tutti gli spazi vengano conquistati dalla Spagna il nostro maggiore competitore.
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