No al dialetto nelle scuole: polemiche

No al “marilenghe“, cioè alla variante friulana della lingua italiana: a giudizio di alcuni un dialetto, secondo altri una vera e propria lingua.  

Il Consiglio dei ministri, ancorché dimissionario, proseguendo nella sua attività di ordinaria amministrazione, ha bocciato all’unanimità, impugnandola di fronte alla Corte Costituzionale, la recente legge regionale del Friuli-Venezia Giulia finalizzata alla “tutela della lingua friulana“. 

Secondo il governo la legge “eccede sotto diversi profili la competenza legislativa attribuita al Friuli-Venezia Giulia” perché prefigura una regime di sostanziale bilinguismo. In discussione, in particolare, è la norma che prevede il silenzio-assenso da parte dei genitori, che se non vogliono far frequentare ai figli le ore di lingua friulana lo devono chiedere esplicitamente all’inizio dell’anno scolastico.

E’ singolare che il Consiglio dei ministri abbia approvato all’unanimità il ricorso contro una legge fortemente voluta dal governo di centro-sinistra che amministra la regione, e in particolare dall’assessore Antonaz, di Rifondazione comunista. Ma da sempre la questione divide trasversalmente le forze politiche. L’ex ministro e illustre linguista Tullio De Mauro, per esempio, sostiene con forza le ragioni della legge pro “marilenghe“, che a suo giudizio non è un dialetto ma una lingua minoritaria, e fa appello addirittura alle Nazioni Unite e all’Unione Europea, oltre che alla Costituzione e alla legge 482 del 1999 sulle minoranze linguistiche.

Secondo altri, invece, lo studio di lingue locali o dialetti indebolisce il compito prioritario della scuola, che è quello di insegnare il corretto uso della lingua italiana. Evidentemente il Consiglio dei ministri condivide all’unanimità questa valutazione.