
Ministro Meloni: basta con i baroni che ‘occupano’ le università
Il ministro della Gioventù Giorgia Meloni parte lancia in resta contro "i baroni universitari": "Quelli che hanno piazzato interi alberi genealogici ad insegnare nelle università statali come se fossero di loro proprietà". Ma parla anche molto di scuola...
E’ stata la più giovane vicepresidente della Camera dei Deputati, nel maggio 2008 diventa ministro della Gioventù del IV Governo Berlusconi, pure in questo caso il ministro più giovane della storia repubblicana: Giorgia Meloni è un’agguerrita ragazza di 32 anni, nata, vissuta e cresciuta all’insegna del ‘pane e politica’. Una insomma dalle idee chiare, anche sulla scuola.
Ministro, lei dalla prima pagina del Secolo d’Italia, il quotidiano vicino al Pdl, ha di recente lanciato un appello agli insegnanti affinché non ‘insegnino’ solo con le bocciature. Perché?
“Il compito della scuola è quello di educare, oltre che di istruire. E a questo compito non si può adempiere solo ragionando in termini di medie aritmetiche, statici parametri di valutazione o modelli teorici. Occorre dunque che la scuola sia anche in grado di intervenire in soccorso dei più fragili, e, perché no?, di premiare chi anche all’ultimo minuto ha dimostrato di saper rimediare alle proprie carenze. Sarebbe estremamente riduttivo pensare che il ruolo della scuola sia esclusivamente quello di affibbiare una valutazione numerica ad una prestazione scolastica, senza aggiungere nessun’altra considerazione“.
Ha anche criticato il nozionismo. Eppure da diversi esperti gli schemi nozionisti vengono considerati fondamentali per l’apprendimento…
“La scuola non è solo nozioni, ma anche palestra di emozioni, pensieri, sentimenti, ragionamenti, vita. Questo non esclude o ridimensiona il piano nozionistico, semplicemente volevo significare che non finisce tutto lì“.
Lei sostiene che i soggetti problematici sono anche quelli che in potenza possono dare di più. D’accordo, ma il docente secondo lei come dovrebbe comportarsi? E’ possibile delineare una procedura standard oppure ogni caso è davvero a sé?
“La storia è piena di esempi in questo senso. Di uomini e donne che apparentemente sembravano privi di potenzialità eppoi hanno stupito il mondo. Non c’è nulla di “standardizzato”, nulla di inquadrabile a priori in uno schema definito. Non dimentichiamo che gli studenti sono innanzitutto persone che proprio nell’età degli studi costruiscono poco alla volta il loro essere uomini e donne di domani. Un buon docente è perfettamente in grado di distinguere tra un fannullone e un indisciplinato e chi invece ha diritto a una seconda opportunità. Perché, magari, dietro un atteggiamento apparentemente “ribelle” e fuori dagli schemi, si celano lampi di intuizione, forse addirittura di genialità, che devono essere incoraggiati e tirati fuori. Non basta mettere il ragazzo “difficile” di fronte all’asettica alternativa di adeguarsi o essere fuori dal gioco“.
Bullismo. Una mala pianta ancora non estirpata…
“E’ vero, ma stiamo attenti a non generalizzare: gli studenti italiani non meritano di essere considerati dei criminali o degli “spostati” per colpa di alcune eccezioni. La via da percorrere per contrastare il fenomeno del bullismo nelle scuole, così come qualunque altra forma di violenza giovanile, è quella di valorizzare i modelli e gli esempi positivi e di promuovere esperienze educative tese a sviluppare una concezione di cittadinanza attiva fondata sul rispetto di sé e degli altri, sul concetto di bene comune, sulla solidarietà intesa come condivisione di idee, diritti e doveri. I giovani tendono a emulare ciò che i media propongono quotidianamente e finché farà più notizia un episodio di violenza piuttosto che un bell’esempio di ‘meglio gioventù’, sarà difficile indurli ad emulare gli esempi positivi”.
Lei ha applaudito la riforma dei licei del ministro Gelmini affermando che consegna finalmente il ‘68 alla storia. Ci spieghi meglio.
“Prima di tutto ha interrotto quella sperimentazione infinita e profondamente ideologizzata che in alcune scuole aveva sostituito i corsi di matematica o latino con quelli di cucito. Solo per fare un esempio. Inoltre ha ribadito che non c’è alcuna conflittualità tra merito ed eguaglianza, ma solo tra merito ed egualitarismo. La politica del ’68 ha imposto la parità dei risultati nel punto d’arrivo, una utopia devastante per il nostro sistema scolastico e universitario. Quando avrebbe dovuto concentrare i propri sforzi nel pretendere parità delle opportunità nel punto di partenza. I provvedimenti del ministro Gelmini e quindi anche la riforma dei licei parlano esattamente di questo, ma fanno anche di più. Razionalizzando i percorsi ed innovando i mezzi, coniugano la grande tradizione scolastica italiana con gli strumenti didattici e gli obiettivi che definiscono la modernità“.
Ma davvero il ’68 può essere considerato il padre di tutti i mali della scuola italiana?
“Come accennato poco fa, penso di no. Credo che in una prima fase abbia saputo liberare la società in generale e la pubblica istruzione in particolare, di alcune incrostazioni culturali e metodologiche ampiamente superate già a quel tempo. Purtroppo la strumentalizzazione della politica ha ben presto soppiantato le buone intenzioni degli animatori di quella protesta, e da quel giorno l’Italia ha pagato un prezzo amarissimo sotto ogni punto di vista“.
Nelle ampie proteste che hanno contrassegnato il cammino della riforma-Gelmini, e in particolare il ritorno al maestro unico, spiccavano spesso movimenti giovanili legati alla destra o in generale all’area identitaria. Che tipo di idea si è fatta? E se avesse avuto qualche anno in meno, sarebbe scesa anche lei in piazza?
“Ogni forma di partecipazione giovanile, anche la protesta di piazza, è un elemento positivo che prescinde dalla politica. Racconta la presa di coscienza di ragazzi e ragazze che improvvisamente si rendono conto di avere un ruolo nella società degli adulti. E giustamente lo rivendicano. Temo che all’Onda sia parzialmente successo quanto avvenuto altre volte dal 1968 in poi. Ovvero è accaduto che la mobilitazione studentesca nata trasversalmente alle varie idee politiche e focalizzata su un obiettivo preciso e legittimo sia diventata carne da macello per le mire dei “grandi”. I quali sono sempre gli stessi. Sono i cattivi maestri che predicano l’odio di classe, sono i vecchi arnesi di una ideologia sconfitta dalla storia e sono gli strenui difensori di ingiusti privilegi che si abbattono sulle speranze degli studenti.
E’ stato particolarmente evidente quando ad un certo punto si sono visti gli studenti sfilare a braccetto per le strade di mezza Italia con quei baroni universitari che hanno piazzato interi alberi genealogici ad insegnare nelle università statali come se fossero di loro proprietà”.
Lei è diplomata in lingue presso l’ex Istituto Amerigo Vespucci: come andava a scuola? Quali le materie che le piacevano di più, quale quella che odiava?
“Devo dire che andavo piuttosto bene, nonostante fossi piuttosto irrequieta. Mi sono diplomata con sessanta/sessantesimi, ma c’erano materie con cui facevo un po’ più fatica, a cominciare dalla matematica. Ovviamente“.
Ora è il ministro più giovane della Repubblica Italiana: una storia di successo, cosa vuol dire ai giovani lettori…
“Innanzitutto, il successo non è assumere una carica, ma saperla utilizzare per costruire qualcosa di buono. Bisognerà attendere la fine del mandato per tracciare un bilancio della mia esperienza governativa. Per il momento, cerco di fare del mio meglio. Non ho mai pensato alla politica come a un mestiere. Per me è sempre stata una passione unita al desiderio di poter fare qualcosa per la mia comunità, per l’Italia. E’ un impegno che richiede tempo, sacrificio e determinazione. Essere giovani non basta. Oggi si parla tanto di ricambio generazionale, ma non mi stancherò mai di ripetere che l’Italia più che di persone giovani ha bisogno di persone capaci, meritevoli ed innovative“.
Lei proviene da una lunga esperienza di militanza giovanile. Una
comunità, in questo caso di destra, che nel suo caso si è sostituita alla
scuola? Oppure, Ministro, si tratta di percorsi paralleli che possono entrambi essere seguiti e costituire comunque patrimonio di formazione personale?
“E’ ovvio che nulla può sostituire la scuola e questo vale anche per me, ma sono convinta che la crescita di una persona non possa prescindere dallo svolgimento di attività extrascolastiche, dallo sport al volontariato, all’impegno politico. Il mio disegno di legge sulle Comunità giovanili va esattamente in questa direzione: permettere ai ragazzi, soprattutto quelli che vivono nelle periferie e nei territori più disagiati, di avere un’alternativa alla noia e al disimpegno, di poter fruire di spazi dove fare teatro, musica, praticare sport, riscoprire saperi tradizionali e stringere amicizie. Nel mio caso al percorso scolastico si è accompagnata l’attività politica che non è altro che una delle tante forme di impegno civile. E per viverla come tale non si può, io credo, prescindere da una militanza appassionata“.
Veramente, l’ultima domanda: si dice spesso che i giovani d’oggi siano vuoti, senza ideali, disposti a tutto solo per il successo e i soldi. Insomma, o veline o concorrenti del Grande Fratello…
“Non credo ci possa essere sui giovani un giudizio più semplicistico e lontano dalla realtà di questo. Oggi i giovani italiani sono una generazione abbandonata a se stessa. La maggior parte dei giovani italiani coltiva grandi idee e speranze, e lotta strenuamente per realizzarle. Nonostante vi siano enormi ostacoli da superare e tanti che “remano contro”. Sono i giovani di cui non si parla mai. Le loro storie, non fanno abbastanza “rumore” rispetto a quelle che invece animano la cronaca nera o rosa, e che finiscono poi con l’essere le uniche di cui ci si ricorda. Tutte le settimane sul sito del ministero oppure su Radio Gioventù ne raccontiamo una. Dategli un’occhiata e non ve ne pentirete“.
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