Marzo 2020 – 2022: due anni dalla chiusura delle scuole. I docenti si sono convinti che oltre i libri esiste un mare di opportunità

La chiusura delle scuole è stato un evento che probabilmente porteremo con noi, che non dimenticheremo. Studenti, famiglie, docenti e tutti coloro che operano nella scuola serberanno di quel periodo ricordi indelebili. Probabilmente per sempre. I più giovani si troveranno fra anni a ricordare episodi, accadimenti, fatti e momenti. La prima sensazione di smarrimento di fronte a un evento inaspettato, a cui non volevamo credere; la didattica a distanza, le difficoltà anche tecniche da parte di alcuni, il trovarsi, parlare e guardarsi attraverso uno schermo per un tempo che parve quasi infinito. Il riscoprire i limiti. Ognuno di noi avrà di quei giorni una speciale memoria. Per me sarà il silenzio totale e avvolgente che mi colpiva quando, durante il lockdown, a volte, mi recavo a scuola per sbrigare qualche incombenza. I cortili, le aule, i corridoi, gli spazi e i tempi… Vuoti e muti. Potevo udire soltanto il cinguettio, il vociare degli uccelli, numerosi e vari, di cui mai prima mi ero resa conto. 

Tutti noi siamo cambiati, grandi e piccini. Noi adulti consapevolmente sappiamo che, anche all’approssimarsi della tanto desiderata fine della fase pandemica (incrociamo le dita), almeno qualcosa non tornerà come era, non troveremo più lo spazio dove inserire qualche tassello del puzzle. Cambiamenti nelle nostre abitudini, nella quotidianità, nelle relazioni. Sicuramente per i docenti, un utilizzo più consapevole del PC e dei suoi programmi. L’aver scoperto quanto si può fare con questo strumento. Qualcosa anche di buono avrà determinato la pandemia.

Quelli che sembrano avere risentito maggiormente di questa chiusura sono gli adolescenti. I bambini più piccoli hanno saputo meglio metabolizzare la negatività dello stare distanti, la mancanza degli abbracci, le vicinanze fatte soltanto di sguardi e parole. Disegnano le figure con le mascherine, come se facessero parte del loro esistere, come se non ricordassero il ‘prima’ e i più piccoli all’infanzia, in effetti, non lo hanno quasi percepito. Quelli delle ‘medie’ invece, in generale, hanno sofferto di più. Per loro la distanza dai compagni, dall’amica, da quello che mi piace e anche dai professori, è stata più dolorosa e, in alcuni casi, ha lasciato il segno. Anzi, ha colpito maggiormente chi i segni già se li portava addosso. Li potrei citare uno per uno i ragazzi per i quali la pandemia non è stata una vacanza, uno stare a casa con la famiglia, una pausa didattica. Per alcuni, quelli di cui potrei fare l’appello, si è trattato di rinunciare a sei ore al giorno di normalità, di chiacchiere, di attenzioni, di sentirsi persona tra le persone. Con loro la DAD ha funzionato poco. Nonostante i notebook in comodato d’uso forniti dalla scuola, nonostante gli appelli dei docenti, le chat con i compagni, per loro la chiusura è stata un male, una triste avversità.

Ora che stiamo gradualmente recuperando la nostra consueta quotidianità scolastica (ormai, fortunatamente, i casi di positività si stanno diradando sempre più), mi sento di potere affermare che vivremo con maggiore consapevolezza e apprezzamento lo stare in classe, il poterci guardare negli occhi, scambiare la penna o un foglio o un libro o un sorriso. Penso che potremo continuare ad utilizzare la didattica a distanza per implementare quella in presenza, sul modello della flipped education ad esempio. In fondo per alcuni docenti l’essere stati in qualche modo ‘costretti’ a cimentarsi con le tecnologie, li ha convinti che, tutto sommato, oltre i libri di testo c’è altro, un mondo di opportunità che va anche oltre le tecnologie e che può coadiuvare il docente a relazionarsi con l’eterogeneità delle classi in cui si trova ad operare e a strutturare unità di apprendimento in modalità maggiormente inclusiva. 

Quello che mi sembra la pandemia non abbia avuto modo di cambiare molto, ahimè, è la percezione da parte della politica del valore incommensurabile che la scuola ha per il presente e il futuro della nostra terra. Oltre, ovviamente, le frasi di circostanza e i proclami di massima.

Ora, a scuola, non riesco più a distinguere il cinguettio degli uccelli –  che pure non se ne sono andati – e ne sono felice!

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