Manifestazione a Roma: gli alunni del Ghetto barricati per ore dentro la scuola

Il Tempo, il quotidiano della capitale, dedica un particolare servizio a quella parte della manifestazione di ieri a Roma che ha interessato il quartiere ebraico. Di seguito il testo integrale.

“I negozi dell’antico ghetto che abbassano le saracinesche. I bimbi rinchiusi dentro scuola, per proteggerli. E decine di ragazzi con il volto coperto da un passamontagna che attraversano il Portico d’Ottavia. Con le mazze in mano. Nel giorno della guerriglia urbana a Roma, gli ebrei della Capitale tornano per tre ore indietro di 30 anni. A quella manifestazione di metalmeccanici che passò davanti alla sinagoga tra insulti, slogan anti-israeliani e il lancio di una bara con l’augurio di morte certa agli ebrei (pochi mesi dopo, il 9 ottobre del 1982, l’attentato di un commando terrorista uccise Stefano Gay Taché all’uscita dal tempio). Da quel giorno nulla di simile è successo. Nulla fino a ieri.

Ore 13.40. Le forze dell’ordine decidono di deviare il corteo. A piazza Venezia la massa di studenti che tenta di raggiungere i palazzi del potere è bloccata. Viene fatta defluire verso via del Teatro Marcello, ai confini di Portico d’Ottavia. La questura avverte i vertici della Comunità ebraica di Roma: in 15 minuti arriveranno migliaia di persone, con caschi, scudi, striscioni e bandiere.

Proprio a quell’ora, alle 14, dovranno uscire da scuola i ragazzi di medie e liceo dell’istituto ebraico. Si pone un problema di sicurezza. «Il questore – racconta il presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici – mi ha spiegato che la deviazione è stata necessaria per dare una sorta di sfogo visto che la mattina c’erano stati gli incidenti con Blocco Studentesco e all’interno del corteo c’erano molti minorenni. Quando un corteo passa davanti alla Sinagoga purtroppo c’è una sorta di riflesso». Il tempo stringe. Mancano pochi minuti alle 14. La decisione è non far riuscire gli studenti da scuola. Devono restare chiusi dentro. Barricati. I negozi, i ristoranti della zona abbassano le saracinesche. Clienti e turisti temono il peggio e preferiscono restare dentro, con le porte chiuse.

Poco dopo, da Monte Savello, si sentono le urla di alcuni ragazzi. Fischietti. Un coro. È il corteo che risale il Lungotevere. Ora è davanti alla sinagoga. «Saddam, Saddam!», sono le grida alla vista del quartiere ebraico. «Palestina libera». Bandiere a cinque stelle. Insulti a Israele. E un boato. Sono i primi petardi. La tensione sale. Ai confini del rione alcuni poliziotti in borghese seguono i più facinorosi, pronti per un eventuale blitz. Sopra le loro teste il rombo delle pale dell’elicottero della questura. La manifestazione scorre. Sembra finita. Ma non è così.

Ore 14.15. Duecento metri dopo, tra Ponte Garibaldi e il ministero di Giustizia, il corteo viene a contatto con le forze dell’ordine. C’è un lancio di sampietrini. Una carica d’alleggerimento. Fumogeni da una parte, lacrimogeni dall’altra. Un’altra carica. Botte. Petardi. Sprangate. Cascate. E ora è guerriglia vera. Nel caos generale il gruppone si disperde.

Molti tagliano dentro l’antico ghetto. Hanno i caschi in testa e il volto coperto. Di tutto in mano. Chi è ancora per strada teme il peggio. La tensione è altissima. «Sembrava un film – dice David che ha una paninoteca a Portico d’Ottavia – ho visto uno passare con un piccone in mano e ho capito che il pericolo era concreto». Di fronte a lui c’è un negozio che vende oggetti ebraici: «Non sapevamo – spiega il proprietario – se volevano aggredire qualcuno qui, per fortuna i negozi erano già chiusi». Sono dieci minuti di terrore. «Capiamo le ragioni della protesta del corteo, ma mi chiedo – dice Riccardo Pacifici – che cosa c’entriamo noi? Nel nostro quartiere si è creato il panico. C’è un clima nel paese che non ci piace. Se deve essere questo, vietate le manifestazioni a Roma».

Sono le 16.30 quando torna la normalità. Si spalancano i cancelli della scuola. Gli studenti escono. I negozi riaprono. Si chiude un giorno di paura. Ma nella testa di chi 30 anni fa c’era, resta l’incubo.”