Maestro unico/2: la regola e l’eccezione

Come ricorda Norberto Bottani, uno dei più noti e autorevoli esperti di sistemi formativi a livello internazionale, “il docente unico che fa tutto nella scuola elementare non c’è più da nessuna parte, però ovunque c’è il docente prevalente che si avvale di specialisti che entrano o escono in classe in base ad una intesa, ad un programma, stabilito da lui o con lui“. Il docente prevalente è comunque l’unico responsabile degli apprendimenti degli allievi, anche se può avvalersi dell’aiuto di specialisti.

Non c’è altrove il modulo“, secondo Bottani, “né l’interpretazione del modulo come è stata fatta in moltissime sedi scolastiche dove si è trasformata la scuola primaria in una scuola secondaria con docenti specializzati per discipline. Questa è una specificità unicamente italiana“. Naturalmente il maestro unico, o prevalente o di riferimento, o come altrimenti lo si voglia denominare, tiene conto delle esperienze e del giudizio degli altri docenti, ma spetta a lui di fare la sintesi, e di redigere i documenti di valutazione (Record of Achievement, Portfolio), che nei sistemi, come quello inglese, dove i maestri cambiano quasi tutti gli anni, hanno una rilevante importanza.

Insomma, se visto in un’ottica comparativa il modello italiano del team trinitario perfetto (tre maestri ogni due classi), per quanto ampiamente sostenuto nel nostro Paese in ambito pedagogico e sindacale, è stato in questi anni nel mondo l’eccezione, non certo la regola. Il che non vuol dire di per sé che rappresenti un modello meno, o più, efficace di quello del maestro prevalente. Anzi le recenti rilevazioni internazionali vedono la scuola primaria italiana in una buona posizione. Ma è altrettanto vero che anche le prime rilevazioni antecedenti all’introduzione del modulo trovavano la “vecchia” scuola elementare italiana in ottima posizione. Di sicuro, si può dire che il maestro unico è un modello meno costoso, forse per questo è stato caldeggiato sin dall’inizio dal ministro dell’economia.