
Con 507 euro al mese per famiglia i cittadini della Campania sono i più “mangioni”, mentre il Friuli Venezia Giulia è la regione dove le famiglie stanno piu’ a stecchetto e con 402 euro al mese spendono meno per la tavola.
E ‘ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sui dati relativi ai consumi alimentari delle famiglie nel 2006 diffusi dall’Istat. Dai numeri emerge che i campani destinano agli alimentari un quarto (25,6 per cento) della loro spesa mensile complessiva. Un risultato che avvalora l’immaginario che vede in questa regione uno dei simboli della dieta mediterranea e della qualità del made in Italy.
Tra le categorie professionali, chi spende di meno per il cibo rispetto alla retribuzione mensile sono – sottolinea la Coldiretti – gli imprenditori e i liberi professionisti (14,1 per cento) mentre a sentire il peso dell’alimentazione sul portafoglio sono soprattutto i pensionati con il 21,1 per cento della spesa complessiva.
L’alimentazione con il 19 per cento rappresenta la seconda voce di spesa degli italiani, dopo l’abitazione e prima dei trasporti, con un importo che ha fatto registrare un lieve aumento (+1 per cento) salendo da 456 a 467 euro. Nonostante ciò, dall’analisi della Coldiretti emerge che gli italiani spendono per l’olio con cui condire insalata e altri cibi meno che per le sigarette e che gli imprenditori e liberi professionisti spendono per l’alimentazione neppure il doppio di quanto va via per abbigliamento e calzature (8,4 per cento).
Numeri che – sostiene Coldiretti – confermano la necessità di interventi per garantire la trasparenza nella formazione dei prezzi e il rispetto della legge sull’etichettatura degli alimenti. E’ anche per questo che Coldiretti manifesterà mercoledì prossimo (11 luglio) a Bologna con lo slogan “Giu’ le mani dalla qualità italiana”. Nella capitale dell’agroalimentare, gli agricoltori insieme a cittadini, mamme, giovani e studenti scenderanno in piazza contro il tentativo di standardizzare e omologare verso il basso la qualità dell’agricoltura italiana per asservirla ad un modello di sviluppo produttivistico, contrario all’interesse delle imprese, dell’ambiente e dei consumatori.
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