L’OCSE (ri)boccia la scuola italiana

L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), fondata a Parigi nel 1960, ha cominciato ad occuparsi di educazione in modo organico e sistematico a partire dagli anni novanta dello scorso secolo, quando furono messi a punto gli Indicatori internazionali dell’istruzione (1992), avviate le indagini comparative poi sfociate nei rapporti annuali Education at a glance, e lanciato nel 2000 il vasto programma PISA (Programme for International Student Achievement), a cadenza triennale, sugli apprendimenti dei quindicenni in lettura, matematica e scienze.

Da quando l’OCSE si occupa di istruzione in chiave comparativa la scuola italiana non ha dato buona prova di sé. Anzi, si può dire che è stata bocciata sistematicamente, e che la sua situazione di classifica è andata addirittura peggiorando, come mostrano i risultati delle tre edizioni del PISA finora espletate (2000, 2003, 2006: quella del 2009 è in corso di svolgimento).

Non ha perciò sorpreso il giudizio negativo sulla scuola italiana contenuto nell’ultimo rapporto OCSE sull’Italia, dedicato in gran parte ai problemi economici ma attento anche ad individuare i nodi strutturali che bloccano lo stesso sviluppo economico. Tra questi nodi l’OCSE inserisce il nostro sistema educativo, che è tra i più costosi (università esclusa) e nello stesso tempo tra i più scadenti per quanto riguarda i risultati.

Le critiche non sono certo nuove, e la cosa si spiega per il fatto che nessuno dei problemi da tempo segnalati dall’OCSE è stato seriamente affrontato negli ultimi 15-20 anni, dall’elevato rapporto insegnante per studente (9,6 insegnanti ogni 100 studenti in Italia, rispetto a 6,5 insegnanti nell’area Ocse) al sistema di reclutamento non selettivo, dalla inesistente valutazione degli insegnanti alla assenza di prospettive di carriera.  

Ha avuto buon gioco il ministro Gelmini nel rilevare che lo stato attuale della scuola italiana non le può essere rimproverato, e che anzi le riforme da lei avviate (a partire da tagli di personale, chiusura delle scuole piccole, alleggerimento dei curricoli) raccolgono le indicazioni dell’OCSE. Bisognerà vedere, naturalmente, se i risultati complessivi miglioreranno, pur in presenza di risorse più scarse. E questa è la sfida che attende il ministro.