Lo spread c’è anche nei sistemi educativi

Lo spread (scarto, differenziale) è, nel linguaggio finanziario, uno dei principali indicatori del grado di affidabilità di un Paese: più un Paese è affidabile per stabilità, competitività, efficienza, minore sarà l’interesse che dovrà pagare sui titoli che emette per finanziarsi.

Abbiamo assistito in quest’ultimo anno di crisi finanziaria internazionale a come lo spread tra i titoli tedeschi (bund) e quelli degli altri Paesi europei (buoni del tesoro italiani, bonos spagnoli, per non parlare dei titoli greci) sia aumentato notevolmente a scapito di questi ultimi, evidenziandone il più basso grado di solidità e credibilità rispetto a quello mostrato dalla Germania.

Il fenomeno ha indotto l’Associazione TreeLLLe, presieduta da Attilio Oliva, e la Fondazione Rocca, guidata da Gianfelice Rocca, già vicepresidente di Confindustria per il settore Education, a tentare di trasferire la nozione di spread dal campo finanziario a quello educativo, mettendo a confronto, in particolare, una serie di indicatori relativi ai sistemi formativi (scuola e università) attualmente funzionanti in Germania e in Italia.

I risultati di questa ricerca saranno presentati a Roma il prossimo 2 ottobre. Dall’anticipazione del Corriere della Sera ne esce, come era facile prevedere, un quadro totalmente sfavorevole all’Italia, che sta sistematicamente sotto le medie Ocse nelle diverse voci considerate (spesa sul PIL e per studente, retribuzione docenti, numero studenti per insegnante, risultati PISA ecc.) mentre la Germania sta sistematicamente sopra. Tranne che in un caso, quello della spesa per l’istruzione primaria e secondaria, dove sia la Germania (3,3% sul PIL) sia l’Italia (3,4%) stanno sotto la media Ocse (3,6%), ma l’Italia fa un po’ meglio, salvo poi fare molto peggio per quanto riguarda l’università: 1% sul PIL contro l’1,3% della Germania.

Insomma, fa intendere questa ricerca, lo spread finanziario si riflette in quello educativo, e la riduzione di quest’ultimo potrebbe concorrere a far diminuire anche quello finanziario.

Ipotesi suggestiva, e intuitivamente più che verosimile che meriterebbe approfondimenti e dibattiti, al di là dei meri dati statistici. Sarà intanto interessante leggere i risultati dello studio di TreeLLLe/Rocca.