L’intelligenza è reale (non artificiale)

In questi anni cresce l’interesse, ed anche l’inquietudine, per il tema dell’intelligenza artificiale, e del suo potenziale impatto per il sistema educativo. I più tradizionalisti, laudatores temporis acti, sono piuttosto preoccupati: non bastava il colpo d’ariete dato da Internet e dai Social? Occorreva quest’altra e più pesante insidia? Pensando alla diade insegnamento e apprendimento, ora entrambi i poli sono minacciati: sul versante dell’insegnamento, Internet è una fonte d’informazioni che minaccia il metodo della lezione frontale, relativizzando il contributo dell’insegnante; sul versante dell’apprendimento (o meglio di alcune prestazioni normalmente chieste agli studenti), l’intelligenza artificiale può risolvere, scrivere e persino comunicare in modo sorprendente. Insomma, mentre è vivo il dibattito sull’uso del cellulare a scuola, sollecitato dagli ammonimenti dell’UNESCO, ecco un’altra grana, un altro attacco da cui difendersi, per salvaguardare… cosa? L’intelligenza degli studenti? La loro crescita umana? O le routinarie prestazioni esecutive o di memoria, così pervicaci negli ambienti scolastici?

È chiaro che il rapporto tra scuola e tecnologie è un rapporto difficile e controverso, e che la tentazione potrebbe essere quella della semplice (e forse irrealistica) negazione. Per altro, non così si è pronunciata la direttrice generale dell’Unesco, Audrey Azoulay, che, in modo ben altrimenti pensoso, ha semplicemente affermato (testuali parole) che “la rivoluzione digitale ha un potenziale incommensurabile ma, così come sono stati lanciati degli avvertimenti sul modo in cui dovrebbe essere regolata nella società, un’attenzione simile deve essere prestata al modo in cui viene utilizzata nel contesto dell’istruzione”. Ancora, ella afferma, “Il suo utilizzo deve essere finalizzato a migliorare le esperienze di apprendimento e a favorire il benessere di studenti e insegnanti, non a loro discapito”.

In sostanza, ciò che sta dietro a questa dichiarazione è che la tecnologia è un fattore neutro, e che il suo impatto sull’apprendimento dipende da come essa viene utilizzata: “Se da un lato le tecnologie in classe possono essere utili per l’apprendimento degli studenti, dall’altro possono avere un impatto negativo se usate in modo inappropriato o eccessivo, come spesso accade con gli smartphone”. Qualsiasi fattore esterno (tecnologia o altro) può essere utile oppure ostacolare l’apprendimento (o altre manifestazioni della ricchezza dell’essere umano). Scherzandoci un po’su (ma nemmeno tanto), persino il libro è una “tecnologia” che, se usata in modo inappropriato o eccessivo, può danneggiare l’apprendimento!

Basta pensare a come un uso rigido del libro di testo possa annullare il senso critico, o come l’accumulo di fonti libresche possa indebolire la motivazione. Semplificando di molto la letteratura in argomento, l’uso appropriato delle nuove tecnologie deve essere trasformativo, non sostitutivo. Questo significa che non è utile, anzi è persino dannoso inserirle nel panorama didattico tradizionale, come vino nuovo in otri vecchi. Impiegare le tecnologie per fare lezione (da una parte) e prendere appunti (dall’altra), trasformando la lavagna in schermo, il quaderno in tablet e il libro in e-book, e presumendo che l’operazione renda più efficace il processo di insegnamento, è un’illusione già tramontata. L’intelligenza artificiale, poi, rompe definitivamente questo schema. È rivelativo a questo proposito il verbo che viene utilizzato nell’ammonizione dell’Unesco: la semplice presenza di un dispositivo elettronico distrae gli studenti dall’apprendimento. Bene, da cosa distrae? da quale modalità di apprendimento essi vengono stornati? dalla lezione, evidentemente.

Ben diversa è la questione quando la tecnologia è utilizzata in modo trasformativo, cioè per fare cose diverse da ciò che si è sempre fatto. Se gli studenti sono attivi, da soli o in piccolo gruppo, per creare prodotti culturali, in un contesto di autonomia e responsabilità, è molto più probabile che essi utilizzino proficuamente la tecnologia per elaborare fonti, farsi supportare dall’intelligenza artificiale, e infine generare qualcosa di originale, come un video, un tutorial, un e-book o un podcast. Lo studente al lavoro, chiamato a creare, e non semplicemente ad ascoltare, con o senza l’aiuto di una tecnologia, esercita una forma di apprendimento che potremmo dire “reale”, non “artificiale”.

L’intelligenza artificiale non è di alcuno ostacolo all’intelligenza reale, semmai lo è per l’esercizio, altrettanto “artificiale”, dell’ascolto passivo e della riproduzione meccanica di conoscenze acquisite. Solo le forme astratte e trasmissive d’insegnamento sono minacciate (e alla lunga spazzate via) dall’avvento delle nuove tecnologie, che sta recando con sé l’esigenza di un radicale ripensamento non solo delle modalità didattiche, ma più in generale dell’organizzazione stessa del fatto educativo, a partire dal curricolo implicito, fatto di spazi, tempi, raggruppamenti e risorse per l’apprendimento.

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Chi è l’autore 
Roberto Franchini
Autore di Tuttoscuola e professore ordinario dell’Università di Brescia.

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