L’insegnante: da docente a educatore

Di Roberto Franchini
Pubblichiamo di seguito una nuova parti del documento di Franchini “Una crisi da non sprecare. Partire, invece che ri-partire”.

L’introduzione dei dispositivi mobili nei sistemi di istruzione trasforma profondamente il paradigma educativo, ridimensionando le azioni di istruzione e aprendo spazi inediti per la relazione tra insegnante e allievo. In linea con la Raccomandazione Europea sulla modernizzazione dei sistemi di istruzione, i docenti dovrebbero imparare a “delegare” alla tecnologia alcuni aspetti della funzione di insegnamento, per liberare tempo ed energia per la relazione con gli allievi.

Per fare questo, diventa centrale la metodologia dell’apprendimento per progetti: l’insegnante valorizza la funzione istruttiva di oggetti didattici come videolezioni, tutorial, podcast, etc. e più in generale di piattaforme di apprendimento, al fine di liberare tempo per la relazione con gli allievi e favorire la personalizzazione.

L’istanza educativa, prima del Coronavirus, induce un drastico ridimensionamento di una funzione sin troppo sopravvalutata: il controllo. Tradizionalmente i docenti  sono chiamati a decidere oggetti, tempi e obiettivi delle azioni formative, controllandone l’esecuzione sia durante che al termine delle pratiche didattiche. Nell’educativo digitale, occorre promuovere maggiormente la responsabilità, l’autoregolazione e il senso di maturità degli studenti, aumentando le situazioni nelle quali ci si assume il rischio educativo, attraverso l’istanza della delega e della fiducia. Così facendo si limita il pericolo che il principio del controllo conduca alla passività o alla trasgressione, favorendo al contrario il circolo virtuoso che dalla fiducia conduce alla responsabilità.

Il rischio della grammatica scolastica è quello di focalizzare l’attenzione sulla conformità (correttezza) piuttosto che sulla responsabilità (competenza) degli allievi. Il nuovo paradigma invita a diminuire la tipologia di prestazioni che richiedono forme di riproduzione dei saperi, per aumen- tare la frequenza di compiti e itinerari che richiedono forme autonome e creative di elaborazione di oggetti culturali.

L’abilità cruciale chiesta all’educatore è quella di saper costruire mandati di lavoro che  impedendo le forme ripetitive del “copia e incolla”, richiedano agli studenti formecreative di produzione culturale, stimolando il pensiero divergente e la libertà di espressione.

L’iniziativa si sposta, consapevolmente e organicamente, dall’insegnante allo studente, diminuendo il tempo dedicato a lezioni di tipo trasmissivo e favorendo al contrario situazioni che richiedono iniziativa, soluzione di problemi e creazione di prodotti culturali.

In questo scenario, occorre potenziare negli insegnanti la mentalità educativa e le competenze relazionali, mediante iniziative di aggiornamento che si focalizzino sulla relazione educativa, incentivando al contempo i docenti capaci di innovare le prassi didattiche, spingendoli  a condividerle con gli altri membri dell’equipe educativa.

Le condizioni organizzative: da apparati burocratici a comunità educanti

La scuola prima del Coronavirus rassomigliava ad un apparato industriale, ammalato di fordismo, all’interno del quale si svolgono funzioni esecutive, regolate da procedure e tempi rigidi. Nel grande meccanismo, ogni ingranaggio è sostituibile, aspetto che ha reso in qualche modo sopportabile il grande turnover di insegnanti e dirigenti scolastici. In uno scenario nel quale un insegnante obbedisce al principio dei quattro “uno” (un insegnante, una classe, una materia, un’ora di lezione) che cosa impedisce che a novembre l’equipe dei docenti non sia ancora stabile, perché composta da docenti di terza fascia, a tempo determinato? E se le funzioni didattiche sono ripetitive, che cosa osta al principio che un manager gestisca più plessi, dovendo semplicemente amministrare elementi burocratici?

Nell’educativo digitale, le variabili appena descritte (spazi, tempi, gruppi, risorse, ruolo educativo) contrassegnano un’organizzazione educativa, che per funzionare come tale (come comunità educante) richiede:

  • una funzione alta di progettazione, supporto e supervisione, insomma, un coordinamento educativo e didattico forte, rigoroso e puntuale;
  • un’equipe educativa stabile, affiatata e dotata di tempi per formazione, supervisione e confronto.

Per questo, prima di partire (non di ri-partire) è forse opportuno prendersi un poco di tempo, quel tempo che consente di predisporre le condizioni organizzative per progettare e gestire scuole flessibili e intelligenti. Per raggiungere almeno in parte questo obiettivo, è forse consigliabile che il nuovo anno scolastico inizi ad ottobre: senza perdere tempo, nulla vieta però che il mese di settembre venga dedicato a momenti personalizzati di recupero e approfondimento del presente anno scolastico, mentre a tutti i livelli, nazionale e locale, i dirigenti approntano le condizioni per partire (non ri-partire) in un nuovo scenario, indotto dal virus, ma ben oltre la mera esigenza di prevenzione dal contagio.

Altro aspetto da considerare, in questa strana epoca che tende a sopravvalutare la sicurezza  sull’educazione, è quello delle norme e regolamenti interne alla scuola: occorre probabilmente riconfigurare i sistemi regolamentari in modo tale da consentire spazi e tempi di sempre maggiore autonomia e responsabilità nella vita scolastica degli studenti (dando evidenza di queste scelte nei documenti sulla sicurezza, nei progetti educativi o Piani dell’Offerta Formativa).

Anche la famiglia deve essere opportunamente coinvolta nel cambiamento di paradigma, in un nuovo contratto educativo che metta in chiaro le modalità entro le quali la scuola decide di educare gli studenti all’autoregolazione e alla responsabilità, allo sviluppo di competenze e alla relazione, entro un sistema sufficientemente sicuro.

Conclusione

La dislocazione di spazi fisici e virtuali, la collaborazione in presenza e a distanza, l’utilizzo intelligente di tecnologie dovrebbero consentire di affrontare l’attuale emergenza in un’ottica non difensiva, ma attiva e creativa, non limitando le opportunità educative, ma amplificandole a dismisura. Flessibilità organizzativa e modello blended aiuteranno a non vedere i cambiamenti come una pura risposta al virus, ma come il futuro dell’istituzione educativa, capace di non fermarsi a mere regolamentazioni attuate nel nome della sicurezza, ma di rilanciare e trasformarsi,  immaginando un nuovo modello organizzativo, nel nome dell’educazione e del successo formativo. Insomma, non si tratta semplicemente di amministrare una crisi, ma di trarre da essa quelle indicazioni che ci portano avanti, invece di difendere lo status quo. Come affermava Albert Einstein, la crisi è sempre un’opportunità.

Leggi tutti gli articoli relativi al documento di Franchini, “Una crisi da non sprecare. Partire, invece che ri-partire”, pubblicate su Tuttoscuola

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