Legge di (in)stabilità/4. Per i sindacati l’interlocutore ora è il Parlamento

Al di là delle diverse posizioni, il provvedimento è di difficile digeribilità per il sindacato in generale. Siamo di fronte ad una riduzione della retribuzione oraria dei docenti (più lavoro durante l’anno e più ferie a parità di salario) proprio mentre, sempre per effetto della legge di stabilità, si protrae il blocco della contrattazione di un altro anno (dal 2013 al 2014). A ciò si aggiunge la conseguente riduzione dei posti del personale docente precario, reduce da tre anni di cura dimagrante del duo Tremonti-Gelmini, che ha contratto gli organici dei docenti di 80.000 unità, le cui ricadute hanno inciso fortemente sui docenti precari.

Dal punto di vista del sindacato, in particolare, non viene accettata la violazione delle regole contrattuali. Fece a suo tempo scalpore la cosiddetta “privatizzazione” del pubblico impiego (chi ricorda il decreto legislativo 29/1993 e i provvedimenti successivi?), ossia l’equiparazione delle regole che disciplinano il mercato del lavoro pubblico e di quello privato, dove salario e condizioni di lavoro sono l’oggetto indefettibile della contrattazione. Oggi invece la materia viene sottratta dall’ambito contrattuale per rientrare nel campo d’azione dell’intervento legislativo: si torna – sostengono di fatto i sindacati – con intenti e modalità rovesciate (oggi, almeno) a quella che loro considerano la peggiore tradizione della gestione politica del lavoro pubblico. Di qui, la lettera inviata dalle quattro sigle sindacali ai segretari delle forze politiche di maggioranza, Alfano, Bersani e Cesa, per chiedere modifiche parlamentari al disegno di legge di stabilità. L’interlocutore per il sindacato, quindi, non è più il Governo, ma il Parlamento.