La Scuola che Sogniamo è più vicina: la grande sfida di non tornare alla vecchia normalità
Il sogno continua… Un anno fa Tuttoscuola pubblicava il Manifesto della scuola che sogniamo. Tantissime le adesioni. Per l’intera annata abbiamo presentato modelli di scuola ideale e presentato esperienze che già li realizzano. A grande richiesta continueremo, perché questo sogno è un viaggio nel tempo che passo passo può diventare realtà diffusa. In tanti lo stanno condividendo e l’obiettivo è di diventare sempre di più, in modo da poter far sentire la voce di chi desidera una scuola migliore. Che è a portata di mano, bisogna crederci. Quali possono essere gli ingredienti in grado di affascinare i giovani, di far scattare in loro la scintilla del sapere, ma anche di mobilitare gli animi e le coscienze? Li stiamo ricercando insieme!
Ogni mese approfondiamo un modello e lanciamo un dibattito aperto tra i lettori. Diamo la parola ai protagonisti e agli esperti, e continueremo a raccogliere i vostri commenti e i vostri progetti. Ne discuteremo in webinar dedicati, nei quali potrete essere primi attori, invitando le persone alle quali più tenete.
Per realizzare insieme un sogno e per contribuire, in compagnia e dal basso, all’arricchimento culturale e professionale della scuola italiana. Partecipa anche tu!
Compila il modulo di partecipazione oppure scrivi a redazione@tuttoscuola.com mettendo nell’oggetto: “La scuola che sogniamo”.
Meglio se si è in tanti a condividere lo stesso sogno e a lavorare allo stesso cantiere:
“Se si sogna da soli, è solo un sogno. Se si sogna insieme, è la realtà che comincia”
Di Italo Fiorin
Nel settembre dello scorso anno Tuttoscuola ha lanciato il progetto ‘La scuola che sogniamo’, con il desiderio di contribuire ad innovare il nostro sistema di istruzione, sulla base dei più significativi orientamenti pedagogici e delle migliori pratiche educative, che testimoniano che il sogno è già, in parte, realtà.
Senza mai immaginare quello che sarebbe successo dopo solo pochi mesi dall’inizio dell’anno scolastico, presentando il progetto, scrivevamo così:
“E’ difficile oggi, più di ieri, essere insegnanti. La società si è fatta più complessa, le trasformazioni continue ci mettono di fronte a problemi sempre nuovi e ci obbligano a ricominciare mille volte, ci vorrebbe un sostegno sociale e istituzionale che non sentiamo di avere, anzi spesso sperimentiamo la solitudine di chi va contro corrente. Insomma è faticoso”.
Rileggendole, quelle parole oggi appaiono, se possibile, più vere, e al tempo stesso inadeguate.
Più vere: tra i problemi sempre nuovi che ci obbligano a ricominciare mille volte si è, prepotentemente, fatto largo un problema chiamato COVID-19, che si è abbattuto come uno tsunami sul nostro sistema scolastico, che già non godeva di buona salute, mettendo a durissima prova la capacità di resilienza e di intraprendenza dei docenti: Oggi è ancora più difficile essere insegnanti.
Inadeguate: perché tutto quanto è successo e ancora ci riguarda, dal momento che non siamo affatto usciti dal tunnel e l’incertezza è altissima, ci fa capire che si è generata una frattura, un divario incolmabile tra un prima e un dopo. Sottoposto al doloroso setaccio di una situazione eccezionale, che ha fatto saltare tutti i parametri della didattica normale, il nostro sistema scolastico è chiamato a verificare in profondità che cosa sia veramente essenziale, che cosa veramente conti e vada ad ogni costo salvaguardato, che cosa serva per affrontare il futuro. Quello che ci sembra importante capire è che non ha senso sforzarsi di ritornare alla ‘vecchia normalità’, impegnandosi a migliorare un sistema scolastico in affanno, ma oggi è richiesto di saper sognare una scuola nuova, e, subito dopo, rimboccarsi le maniche e trasformare il sogno in progetto, e il progetto in esperienza.
Quello che abbiamo imparato
Gli alunni di tutte le età, costretti ad un lungo periodo di confinamento domestico, hanno cominciato a desiderare di ritornare a scuola, hanno avuto nostalgia dei loro compagni e dei loro insegnanti, e, cosa che ha sorpreso molti, perfino della routine delle lezioni. Hanno avuto nostalgia della scuola, come di un luogo della loro vita, e ne hanno sofferto l’assenza.
Quello che è successo deve aiutarci a capire quanto sia importante per gli alunni la relazione educativa, perché per uno studente questo è, prima di tutto, la scuola: un luogo di vita, una parte significativa della sua avventura di crescita.
E’ solo dentro un luogo di vita che può trovare senso il programma scolastico, la fatica dell’apprendimento, lo sviluppo delle competenze ritenute indispensabili a costruirsi un futuro. Gli insegnanti non possono distrarsi su questo punto.
Lo hanno capito bene i tanti docenti che, durante il lockdown, hanno inventato mille modi per garantire ai loro studenti dispersi non semplicemente un programma di lavoro, ma un contatto personale, entrando virtualmente nelle loro case, ascoltando il loro smarrimento, favorendo il ricostituirsi della ‘classe’, sia pure in rete.
Grazie a questo, abbiamo imparato qualcosa di più sulle potenzialità delle tecnologie, risorse preziose non solo per garantire lo svolgimento di un programma, ma per mantenere un legame tra compagni e con i docenti.
Quanto alla qualità della didattica la sfida è stata grande, ma è grande anche l’insegnamento che è stato possibile trarre dalle migliori esperienze che, anche a distanza, si sono realizzate. Dovendo fare di necessità virtù, molti docenti hanno rivisto il loro programma, sfrondandolo all’essenziale; si sono concentrati soprattutto sui nuclei significativi delle discipline, hanno preferito l’approfondimento dei problemi all’estensione nozionistica dei contenuti.
Quello che l’emergenza ha fatto ‘emergere’ è che si può abbandonare una troppo radicata concezione enciclopedica dei contenuti dell’insegnamento, in favore di una più selettiva, focalizzata su problemi cruciali, il più delle volte multidisciplinare.
Quanto agli studenti, a cominciare dai bambini, hanno avuto bisogno non solo di essere ascoltati nelle loro paure e solitudini, ma di essere aiutati a capire che cosa stava succedendo, intorno a loro e nel mondo, e in che modo questo li riguardasse.
L’ascolto delle domande degli studenti rappresenta una traccia preziosa per ripensare la scuola, nel suo legame con la realtà e nel suo abitare il tempo presente. Gli studenti hanno bisogno di una scuola che li aiuti a capire il mondo nel quale vivono e il loro compito nel mondo. Le discipline scolastiche non servono a nulla, se non aiutano gli studenti a leggere criticamente la realtà e a sviluppare competenze che aiutino a muoversi nella complessità e a fronteggiare l’incertezza con la quale dovranno convivere. Per questo il compito dei docenti è fornire strumenti culturali e metodi di scoperta, di alimentare le domande con altre domande pertinenti ed euristiche; in definitiva, una scuola della ricerca e non delle ‘lezioni’ che danno risposte a domande che non sono mai state formulate. Una scuola profondamente diversa da quella della ‘vecchia normalità’.
Una scuola che non si faccia solo negli spazi deputati dell’aula e degli ambienti attrezzati di un edificio, ma sia capace di allargare i suoi spazi al paese, al quartiere, alla città … Il lockdown ci ha insegnato che la scuola continua anche quando l’edificio scolastico chiude, e che ci sono tanti diversi modi per apprendere. E’ stata una necessità, e un limite, per molti alunni addirittura una penalizzazione severa. Ma c’è, anche in questo, una lezione che può essere volta al positivo, così come può essere volta al positivo la ricerca di spazi altri, rispetto a quelli di cui dispone l’edificio scolastico, perché c’è bisogno di garantire più spazio, più distanziamento. L’infelice vicenda dei banchetti con le rotelle ci offre l’occasione di ripensare gli spazi e gli arredi non solo con il fiato dell’urgenza sanitaria sul collo, ma con una visione pedagogica, nella consapevolezza che tempi, spazi, arredi …, veicolano messaggi educativi importanti come numerose esperienze e autorevoli educatori ci hanno insegnato (v. Freinet, Montessori, Malaguzzi …). Anche i tempi dell’apprendimento vanno ripensati. Con la chiusura delle aule scolastiche l’insegnamento è continuato a distanza, ma sono saltati non solo gli spazi tradizionali, ma anche i tempi, scanditi rigidamente in ore di lezione e in insegnamenti disciplinari che si succedono senza un vero senso, condizionati come sono da esigenze pratiche e burocratiche, non certo pedagogiche.
L’esperienza della didattica a distanza lascia una traccia dolorosa, che non deve essere rimossa, ma che richiede una convincente risposta. Come molte ricerche hanno documentato, le principali vittime della chiusura della scuola sono quelli che non hanno avuto la possibilità di usufruire in un modo minimamente accettabile la nuova modalità di insegnamento. Non hanno potuto farlo perché troppo poveri, perché troppo fragili, perché privi dell’indispensabile sostegno famigliare.
La nostra scuola, che giustamente si vanta di essere stata la prima al mondo a garantire a tutti gli alunni, anche quelli con gravi disabilità, la frequenza scolastica e che fin dagli anni Settanta dello scorso secolo ha inaugurato quella che viene chiamata ‘la via italiana all’inclusione’, deve chiedersi che cosa sta succedendo, deve interrogarsi sul perché ancora oggi troppi studenti sono esclusi.
Nella tradizionale organizzazione della scuola tutto sembra essere ostile alla didattica di qualità, che per affermarsi deve sempre lottare con la rigidità di un’organizzazione che sembra impossibile mettere in discussione, pur conoscendone i tanti i difetti. Lo shock provocato dalla pandemia ha, però, bruscamente fatto saltare tutte le sicurezze e obbligato a ripensare l’insegnamento in un contesto nel quale è stato necessario muoversi con flessibilità, con creatività, con spirito di intraprendenza, percorrendo sentieri nuovi.
Passata l’emergenza, dovremmo essere capaci di non ritornare velocemente nella confortevole zona della tradizione, rifugiandoci nel chiuso delle aule, nei confini invalicabili delle discipline, nel tranquillo distanziamento sociale di una scuola che non dialoga con il suo territorio e non ricerca e coltiva alleanze che la arricchiscono, ma, china sul proprio dovere, ripropone la sua antica lista di contenuti da apprendere, a prescindere da come va il mondo.
Oggi è molto più difficile di un anno fa avere il coraggio di sognare.
Poiché si riprende con il problematico distanziamento nelle aule, con il balletto delle mascherine, con la didattica a distanza non come una scelta che integri quella in presenza, ma come un male minore, come poter sollevare la testa e ancora cercare di costruire una scuola diversa e migliore?
Dopo tanti sforzi per superare i limiti della didattica espositiva e dell’apprendimento nozionistico, sembra che la vecchia scuola abbia trovato il terreno della sua rivincita.
Si può fare scuola innovativa, quando agli alunni è vietato di muoversi, i corpi sono immobilizzati, perfino i volti, almeno quelli dei docenti, sono nascosti e con essi i loro sorrisi?
Il rischio di una battuta d’arresto, anzi di una regressione, è estremamente elevato. Si sta iniziando l’anno scolastico su un terreno sconosciuto e ostile.
Sarà possibile non arretrare e reinventarsi nella nuova situazione modalità nuove di fare didattica, capaci di garantire gli standard essenziali della qualità dell’azione didattica: il protagonismo degli alunni, l’apprendimento collaborativo, lo sviluppo delle competenze grazie all’incontro con problemi significativi, la promozione della dimensione prosociale e della responsabilità nei confronti della comunità e dell’ambiente..?
Questa è la grande sfida alla scuola di qualità che vogliamo continuare a sognare.
Lo scorso anno, presentando il Manifesto ‘La scuola che sogniamo’ avevamo scritto:
“ … se potessimo con una bacchetta magica far apparire la scuola dei nostri sogni, come sarebbe? Se potessimo dare ai nostri studenti la migliore delle scuole possibili, per ciascuno di loro, quale che sia la situazione di partenza, la collocazione sociale, la cultura famigliare, la posizione economica, quale scuola sarebbe? “
Dal tentar di rispondere a queste domande è nato il Manifesto. Domande che desideriamo mantenere vive anche nella difficile situazione che stiamo vivendo.
Dopo tutto quanto è successo, e nell’incertezza del momento attuale, ci sembra che, ancora a maggior ragione, il Manifesto vada riproposto.
Perché non si ritorni alla vecchia normalità, ma si lavori per una scuola nuova. Una scuola bella, ma non impossibile, perché tante esperienze ormai ci dimostrano che il sogno si può trasformare in realtà. In tante parti del nostro Paese, in tante scuole di grandi città o di piccoli paesi, ci sono insegnanti e dirigenti che stanno trasformando questo sogno in realtà. Con tutta la difficoltà, con tutti i limiti, con tutta la fatica, le loro esperienze ci dicono che i sogni si possono anche realizzare.
Esperienze della scuola del ‘prima’, ma anche esperienze che abbiamo visto realizzarsi durante il lockdown, e che anticipano la scuola del ‘dopo’: la scuola che sogniamo, anche perché, in parte, esiste già.
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