La scuola che non c’è. O no? La lettera di un dirigente scolastico

Pubblichiamo di seguito la lettera ricevuta da un nostro lettore, Carmine Tedesco, dirigente scolastico in pensione, che commenta così il decadimento della scuola italiana:

“Il titolo è volutamente provocatorio. Per mia scelta, volendo – e dovendo – fotografare la situazione di grossa emergenza in cui versa  il mondo della scuola in tutti i suoi aspetti. La speranza, però, non si arrende.

Noi della ‘vecchia guardia’, quantunque ormai solamente come osservatori esterni, non abbiamo mai smesso di sperare e pregare perché le ‘cose della scuola’ possano e debbano, anno dopo anno, cambiare, rivitalizzarsi, migliorare. Tuttavia, anche l’inizio di questo nuovo anno scolastico, nonostante le proposte innovative dettate nell’orbita della L. n.107/2015 (‘La buona Scuola’) e successive modifiche e integrazioni/interpretazioni, non presenta elementi sufficienti, finanziari e non, per fugare le preoccupazioni e le attese degli addetti ai lavori (Dirigenti, personale, genitori, utenti).

Il fatto è che l’attuale confuso clima politico, unitamente alla congiuntura economica che l’Italia attraversa, “distraggono” chi di dovere dal dare la necessaria attenzione alle questioni di politica scolastica. Da qui, puntualmente, il perpetuarsi degli interrogativi degli interessati, destinati ad appesantire lo sconforto e aumentare le perplessità.

Tutto questo, nonostante l'”industria scolastica” sia tra le principali del Paese, in quanto coinvolge, per numero di addetti e per risorse, oltre la metà della popolazione. Sebbene condizioni, nel bene e nel male, nolenti o volenti, l’esistenza di ciascuno di noi, essa rimane ancorata all’ultimo posto – lo dico con sofferenza – nelle scelte politiche degli ultimi anni. Il motivo – si fa per dire – è molto semplice: è un’industria economicamente improduttiva (ovviamente secondo la distorta vulgata popolare). Non ci si rende conto (o non si vuole rendersene conto) che la scuola, accanto e unitamente alla famiglia, è la più influente e indispensabile delle industrie; da essa dipendono il destino del popolo e dei singoli, della produzione e della ricerca, dello sviluppo e delle conquiste, del progresso scientifico, della letteratura, della civiltà in generale dell’intera Nazione. È ormai universalmente condivisa la convinzione che là dove c’è una scuola funzionante, protetta e accudita i problemi, tutti i problemi, vengono a risolversi quasi da soli, senza forzature e interventi esterni, perché alla base delle azioni personali e/o collettive c’è la fedeltà a se stessi, ai principi, alla comunità, alla Patria.

Per converso, la cronaca di questi tempi avvilisce la scuola coi soliti problemi, fa nascere tante domande e tante incertezze, frena la speranza. Pure quest’anno il nostro sistema scolastico nazionale ripropone il passato e il futuro si presenta tenebroso e inquietante; gli scolari e gli studenti -anche universitari- corrono seriamente il rischio di dovere crescere e formarsi in una società debole e sotto l’influsso di una classe politica distratta.

Nessuno, dico nessuno, ha il coraggio (o il potere) di affrontare i numerosi, gravi e annosi problemi che attanagliano la scuola: risorse economiche ed edilizia scolastica, organico del personale e messa in sicurezza degli edifici, formazione iniziale e in itinere dei docenti, seria selezione delle professionalità, reale autonomia didattica e organizzativa, partecipazione sostanziale delle famiglie. Queste e altre questioni – tutte interdipendenti – non sembrano essere all’ordine del giorno degli interventi legislativi nazionali e locali, se si fa eccezione per alcuni spunti interessanti degli ultimi tempi. Noi, come sempre fiduciosi, ci auguriamo che le buone intenzioni in essi espresse non si disperdano, come purtroppo la evaporazione inspiegabile di tante popolarmente condivise iniziative legislative degli ultimi anni ci ha insegnato, assestando l’ennesimo schiaffo all’istruzione da parte della politica.

L’orizzonte della scuola, oggi, non è per niente rassicurante. Bisogna, comunque, che ciascuno di noi si senta pars costruens del rinnovamento e del potenziamento di tutti i suoi settori per quel che può e per quello che sa fare. Non c’è più il tempo per andare alla ricerca di questo o quel responsabile dei ritardi o delle inadeguatezze, delle discrepanze e del disordine in atto: è impellente che ciascuno di noi si chieda se ha fatto quel poco che poteva fare; né c’è il tempo per pensare di affidare le sorti della nostra scuola all’intervento provvidenziale del salvatore speciale: tutti, in misura e qualità diverse, dobbiamo sentirci responsabili della situazione in cui oggi versa la scuola e tutti dobbiamo scuoterne le fondamenta per elevarne la dignità compromessa; è in gioco non solo il destino della Nazione ma ne va anche della dignità personale, della indipendenza di ciascuno, dell’orgoglio di essere cittadino italiano.

Risulterebbe comodo e semplice accusare dello sfascio attuale i partiti, questo o quel Governo, questo o l’altro Ministro, la legislazione attuale o la precedente, le traballanti condizioni economiche del Paese, la crisi internazionale, l’instabilità politica, l’inconcludenza del potere esecutivo, gli interessi di parte dei politici. Ciascuno di noi ha una fetta di responsabilità.

Interroghiamoci, allora, cercando di dare – ciascuno a sé stesso – una risposta accettabile. Come cittadini cosa abbiamo fatto per prevenire o tamponare il presente scadimento? Ci siamo impegnati a proporre, indirizzare, costruire? Abbiamo solo criticato o anche suggerito rimedi? Quale appoggio abbiamo fornito agli operatori scolastici per affrontare al meglio il gravoso peso del dirigere e dell’insegnare? Siamo in pace con la nostra coscienza per avere operato come soggetti portatori di diritti e di doveri soggettivi, civili e sociali? Abbiamo pensato di più a noi stessi e meno al benessere della collettività? Siamo convinti sostenitori dei principi democratici che siamo chiamati a trasmettere agli  allievi? E li pratichiamo o ci limitiamo a predicarli? Siamo persuasi che l’educazione, la cultura e la civiltà di una generazione dipendono anche da noi e non solo dagli altri? Siamo fermamente convinti che dobbiamo lasciare ai nostri figli una scuola, una società e un’Italia migliore di quelle che stiamo vivendo noi? Siamo consapevoli che prima di guardare a ciò che fanno gli altri dobbiamo pensare a ciò che facciamo noi singolarmente? Viviamo il fuggevole presente con ignavia o con operosità? Come osservatori distaccati o come operatori responsabili? Come individui o come comunità? Con egoismo o con generosità? Guardiamo il futuro con fiducia o con svilimento? .

 Ognuno si dia delle risposte. E poi ripartiamo: LA SCUOLA C’E’!”