La parte destra della curva: la libertà nel cambiamento

Di Roberto Franchini*

Anche la scuola, come il più ampio contesto sociale, ha bisogno di strategie di Build Back Better, come ha affermato Biden nel piano di rilancio economico degli Stati Uniti. Ricostruire meglio (è forse questa la traduzione migliore dell’acronimo BBB) significa non puntare a tornare come prima, né fermarsi semplicemente alla ricerca di soluzioni igieniche per prevenire futuri disastri, ma identificare quei fattori di rischio educativo che erano già presenti prima del COVID, e che la pandemia ha amplificato, consentendoci di leggerli meglio, come sotto una lente di ingrandimento.

Insomma, mentre la curva epidemica punta decisamente verso il basso, la questione del cambiamento organizzativo, non più ancorata al criterio della pura emergenza, può iniziare a contemperare le esigenze sanitarie con quelle educative, evitando di farsi ispirare soltanto dalla sicurezza (o dalla paura), per aprire il terreno pedagogico della speranza, antropologicamente fondata e metodologicamente sostenuta.

Il fattore umano ha sempre fatto e sempre farà la differenza. I due versanti della curva pandemica hanno richiesto e richiedono ai presidi e ai docenti competenze diverse: nella parte sinistra, ovvero durante la crescita, a tratti esponenziale, della virulenza del contagio è stata necessaria una dose inedita di resilienza e tenacia, per garantire la continuità educativa con strumenti inconsueti; nella parte destra della curva occorre e occorrerà una grande creatività, al fine di trarre il bene e il meglio da questa come da altre crisi che verranno.

Durante la parte sinistra sono certamente accaduti numerosi cambiamenti: tuttavia, molti di questi potrebbero essere già scomparsi, o comunque scomparire, non appena si consoliderà la presenza negli spazi scolastici. L’elemento inquinante è che si è trattato di cambiamenti  emergenziali, in qualche modo “obbligati”, e dunque non scelti all’interno di una progettualità di lungo respiro. Adottati nell’emergenza, potrebbero essere respinti al suo termine, proprio in quanto subiti, in una logica di costrizione. La “necessità” del cambiamento potrebbe aver depotenziato il cambiamento stesso, riducendolo ad un surrogato delle pratiche consuete, un succedaneo da rigettare appena possibile, in un sospirato “ritorno alla normalità”.  Non solo, la costrizione potrebbe aver dato un corto respiro alle misure intraprese, confinandole nell’alveo della “sostituzione temporanea”, e privandole di una vera finalità pedagogica, in grado di andare oltre il mero uso di circostanza. In questo scenario, è chiaro che non tutto ciò che è avvenuto in termini di cambiamento è necessariamente utile in una prospettiva pedagogica di respiro.

Le scelte educative autentiche, insomma, non sono quelle dell’emergenza, ma quelle della libera progettualità: la libertà del cambiamento. La parte destra della curva richiede (e consente) questo tipo di libertà, ponendo ai leader una domanda meno pressante ma più significativa: cosa abbiamo imparato dall’emergenza?

Dalla domanda “come facciamo ad assicurare la continuità educativa”, insomma, passiamo ad un’altra e più autentica e libera: che lezione abbiamo tratto da quello che abbiamo vissuto? I cambiamenti “costretti” hanno suggerito qualcosa al riguardo dei possibili “liberi cambiamenti”? Abitando questa domanda, la crisi può generare un diverso e più autentico (libero) mutamento, in ogni dimensione educativa, ovvero in ciascuna delle cinque V doppie: che cosa (what), come (how), dove (where), con chi (whom) e quando (when).

Partiamo dalla prima dimensione, ovvero dal curriculum esplicito: si tratta di decidere che cosa  (What) insegniamo, o meglio, che cosa desideriamo che i giovani apprendano. Stabiliti gli obiettivi educativi, sarà più facile e sensato dedicare attenzione agli elementi organizzativi (curriculum implicito, ovvero come, dove, quando e a chi insegniamo).

Il primo elemento suggerito (sottolineato) dalla pandemia è la centralità dell’apprendimento, e non dell’insegnamento. Si tratta di una distinzione sottile, ma importante e foriera di conseguenze. L’assenza di insegnamento, infatti, non significa necessariamente (anzi, non può significare affatto) assenza di apprendimento. Mentre riflettiamo sul learning loss (perdita di apprendimento) dovuto al COVID-19, dobbiamo considerare che dalla crisi pandemica i giovani hanno senz’altro imparato qualcosa. Parafrasando Watszlavick, non si può non apprendere! Meno esposti all’insegnamento, i giovani hanno comunque affrontato sfide e conosciuto aspetti dell’esistenza umana che li hanno senz’altro condotti a nuovi apprendimenti, che sarà necessario riconoscere e valorizzare.

Insomma, occorre spostarsi dalla preoccupazione di insegnare qualcosa (coprire un programma) all’esigenza di valorizzare l’esperienza umana (scoprire la vita), facilitando negli studenti l’acquisizione di quell’insieme di competenze (virtù, in senso aristotelico) in grado di sostenere il loro cammino nell’incipiente avventura di essere uomini. Ricordate le virtù cardinali che da Aristotele a Locke, passando attraverso S. Tommaso, hanno animato la riflessione filosofica ed etica? Prudenza, intesa come capacità di decidere (virtù deliberativa), temperanza, intesa come  equilibrio e lontananza dagli eccessi, fortezza, intesa come tenacia, capacità di affrontare le avversità con il giusto mezzo tra rinuncia e temerarietà, e infine giustizia, intesa come lealtà rispetto alla dimensione sociale della vita quotidiana, avendo lo sguardo puntato al bene comune. La pandemia può aver maturato molto i nostri giovani sotto questi profili, come può anche averli fatti regredire: in un modo o nell’altro ha messo sotto la lente quell’insieme di attitudini (habitus) che non può certo passare, se non con grande difficoltà, attraverso la cosiddetta didattica a distanza.

Anche sotto il profilo delle conoscenze la pandemia ci ha insegnato qualcosa: durante le difficoltà legate alla quarantena, l’aspetto decisivo, in grado di fare la differenza, è stata la capacità degli studenti di auto-determinarsi nella scelta di apprendere (self-directed learning). In questo, il COVID-19 ha, come al solito, messo la lente su una dinamica già presente nella relazione didattica: l’insegnante può anche “sparare” conoscenze, ma se lo studente non acquisisce autonomia, motivazione e capacità di identificare le possibili fonti del conoscere, non si va molto lontano. Le conoscenze ascoltate e memorizzate, il tutto senza la coscienza di desiderarle, cercarle e assaporarle, vengono rapidamente dimenticate, secondo il ben noto meccanismo dell’obsolescenza, che porta i giovani ben presto a non ricordare più ciò che hanno “recitato”, anche quando hanno ottenuto buoni esiti, sul piano dell’apparenza (ovvero del teatrino dello studio e dell’interrogazione).

Un’ultima dimensione sulla quale occorre soffermare l’interesse al riguardo del curriculum esplicito è quella legato alla dinamica della personalizzazione. Al rientro in classe, infatti, e proprio a causa del cosiddetto learning loss (che può aver agito in modo differente su ciascuno di loro), i ragazzi saranno molto differenti, non solo da prima, ma anche tra loro. Per non trasformare le differenze in svantaggio, occorre mettere al centro dell’agenda educativa l’istanza della personalizzazione. Ma a questo aspetto sarà dedicato il prossimo contributo.

*Docente università cattolica del Sacro Cuore di Milano e Brescia
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