La normativa sui trasferimenti, la sospensione del vincolo di permanenza

Prima della mobilitazione straordinaria del 2016 c’era un piccolo freno alla mobilità, previsto dal Testo unico sulle norme della scuola, che vincolava i docenti di prima nomina a permanere nella sede per almeno due anni e a non uscire dalla provincia di servizio se non dopo tre anni.

L’obbligo di permanenza aveva soprattutto la funzione deterrente di dissuasore sia per contenere la mobilità sia per contenere al Nord l’arrivo di docenti meridionali con la valigia in mano pronta per il ritorno.

Proprio con questa logica, su proposta della Lega, l’obbligo di permanenza nella provincia (prima di spiccare il volo per il ritorno) era stato fissato in cinque anni (legge 106/2011), poi ridotti agli attuali tre (legge 128/2013).

Il vincolo dei cinque anni è rimasto soltanto per i posti di sostegno.

Se qualcuno pensa che quei vincoli possano favorire la continuità didattica, sbaglia, perché nessun vincolo, nemmeno per il sostegno obbliga l’insegnante a rimanere in una stessa scuola.

I vincoli, insomma, sono deterrenti della mobilità e solo indirettamente possono favorire la continuità didattica, che resta paradossalmente tuttora orfana di disposizioni normative e contrattuali che la tutelino.