La grande fuga degli insegnanti

L’uscita degli insegnanti dalla scuola per pensionamento anticipato sta assumendo proporzioni massicce, assai superiori a quelle previste dalla relazione tecnica della Finanziaria, quantificate in 23.000. Quest’anno, secondo alcune stime riportate da “Repubblica“, avrebbero chiesto infatti di andare in pensione 32.000 tra maestri e professori (i termini scadevano il 10 gennaio 2007), il numero più alto degli ultimi dieci anni, anche se il Ministero della PI fa sapere che solo dal 10 febbraio si potranno conoscere i dati ufficiali.
Non è un fenomeno solo italiano. Anche in altri Paesi dell’area OCSE si stanno manifestando tendenze analoghe, e in alcuni di essi (USA, Regno Unito, alcune Regioni della Germania) la situazione è altrettanto se non più complicata perché questi Paesi, a differenza del nostro, non hanno lunghe liste di “precari” in attesa di essere assunti, e sono addirittura costretti ad importare insegnanti dall’estero.
In Italia tra le ragioni che hanno spinto tanti docenti a ritirarsi in anticipo dal lavoro c’è quest’anno lo spettro incombente dello “scalone”: dal primo gennaio 2008 (a meno che il governo Prodi modifichi la norma vigente) l’età minima per andare in pensione salirà a 60 anni, ed è ragionevole ritenere che un certo numero di insegnanti di 57 o 58 anni (con 35 anni di anzianità) abbia voluto evitare di dover arrivare fino a 60 per andare in pensione.
Ma la ragione principale della fuga dalla scuola, in Italia come all’estero, sembra essere un’altra: il carattere ogni giorno più impegnativo e usurante del lavoro degli insegnanti, alle prese con comportamenti giovanili sempre meno governabili, con genitori poco collaborativi e anche con il cambiamento epocale degli strumenti di informazione e comunicazione, al quale molti di loro non vogliono o non possono adeguarsi.