La denutrizione scientifica. Il peggioramento dovuto alla pandemia

Gli effetti sull’apprendimento fino a ora prodotti dalla pandemia da Covid-19 nei giovani studenti di tutto il mondo, a livello soprattutto scolastico, risultano in generale assai gravi, ma con differenziazioni significative sia tra paese e paese sia tra differenti aree interne a ciascuno di essi. Lo documenta una grande quantità di indagini conoscitive e di ricerche svolte da università, società scientifiche e organismi internazionali. Sulla base della letteratura disponibile emergerebbe, in estrema sintesi, che durata dei lockdown e qualità della didattica emergenziale adottata abbiano rappresentato i principali fattori di codeterminazione dei risultati dell’istruzione registrati in questi primi due anni di pandemia. Come a dire che in questo periodo di crisi, nella promozione e qualificazione in alto o in basso dell’apprendimento scolastico “insegnato”, a parità di altre condizioni abbiano avuto un peso significativo la competenza professionale dei docenti (particolarmente nel campo dell’istruzione a distanza) e la disponibilità tecnologico-digitale delle strutture educative e delle famiglie, assieme, ovviamente al grado della loro capacità d’uso funzionale.

In assenza di rilevazioni sincronico-comparative internazionali e analisi puntuali sull’apprendimento relative a questo lasso di tempo, in considerazione del fatto che l’Italia è tra i Paesi che hanno adottato i lockdown scolastici più lunghi (diciotto mesi includendovi le vacanze estive) e che non vanta certo una tradizione consolidata nell’impiego di tecnologie e modelli di intervento didattico “a distanza”, non sarebbe peregrino supporre che i risultati educativi conseguiti dalla sua popolazione studentesca possano rivelarsi nei fatti, inferiori a quelli pur bassi, attesi modalmente.

Evidenze empiriche, emerse dal confronto degli esiti delle rilevazioni sull’apprendimento scolastico – compiuto dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (Invalsi) – nel giugno 2021 e nel giugno 2019, cioè al termine dell’A.S. precedente l’inizio della pandemia hanno confermato la supposizione appena fatta. Ma anche, cosa ancor più allarmante, marcano la persistenza perniciosa dell’influenza di quello che in precedenti interventi abbiamo definito come “fattore K”, nella determinazione e distribuzione degli esiti dell’apprendimento. In altre parole, è rimasta complessivamente costante la variabilità eccessiva dei risultati, tra scuole, tra classi, tra aree geografiche del Paese – con decrementi significativi dei punteggi passando dal Nord al Sud e dalla scuola primaria alla secondaria di secondo grado – e tra le diverse fasce sociali.

Si consideri che a causa dei lockdown le perdite maggiori di apprendimento si sono registrate “tra gli allievi che provengono da contesti socio-economico-culturali più sfavorevoli con percentuali quasi doppie … rispetto a chi vive in condizioni di maggiore vantaggio” (I risultati in breve delle prove Invalsi, Roma, Invalsi 2021, p. 3).

I dati Invalsi

I dati, raccolti su campioni statistici, fanno riferimento agli snodi principali del sistema di istruzione (classi seconda e quarta della scuola primaria; classi terze della secondaria di primo grado, e dell’ultimo anno della secondaria di secondo grado) e riguardano aree di conoscenze di base conseguite in Italiano, Matematica e Inglese, ovvero di saperi ritenuti strumentali per lo sviluppo della capacità di apprendimento autonomo. Essi rivelano che nella scuola primaria gli esiti in italiano complessivamente reggono, mostrando un leggero miglioramento per gli studenti che si situano nelle fasce più alte dei punteggi (le fasce, ordinate in modo crescente dei punteggi, vanno da 1 a 6).

Per la matematica, invece, emerge un calo complessivo dei risultati sia a livello generale, sia nelle fasce alte, mentre per l’inglese, si registrano buoni risultati nella lettura, con il 92% del campione che si attesta al livello A1 del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue – QCER –, valore che scende di dieci punti (82%) per l’ascolto. Nella scuola secondaria di primo grado, mentre gli esiti alle prove di inglese restano stabili rispetto al 2019, in italiano e matematica si abbassano di 5 punti, con quote di studenti che non riescono a raggiungere risultati ritenuti “adeguati” dalle Indicazioni nazionali (livello 3), pari rispettivamente al 39% e al 45%. Nella secondaria di secondo grado, la situazione si presenta drammatica, poiché quasi la metà degli studenti non raggiunge esiti ritenuti “adeguati” dalle Indicazioni nazionali/Linee guida del secondo ciclo di istruzione: il 44% per l’italiano e il 51% per la matematica, con un peggioramento, rispetto al 2019 di 10 punti percentuali in ciascuna delle aree; stabili gli esiti in inglese, ma pur sempre con oltre la metà degli studenti che non raggiunge i “livelli minimi di adeguatezza”.

Si consideri che già prima dell’esplosione della pandemia l’apposita “Nota del Consiglio d’Europa” trasmessa all’Italia il 6 giugno 2019 sul programma nazionale di riforma, e di stabilità, redatta in base ai dati valutativi disponibili, metteva in evidenza una situazione catastrofica. Vi si fa riferimento, infatti, alle “debolezze del sistema di istruzione e formazione e alla bassa domanda di competenze elevate come concausa principale della stagnazione produttiva” del Paese; “al tasso di abbandono scolastico ben al disopra della media europea” (superiore al 13% , con al Sud punte che vanno molto oltre il 20%); al fatto che “gli studenti e gli adulti italiani ottengono risultati tra i peggiori dell’UE per quanto riguarda le competenze chiave e le competenze di base”; alla necessità di “migliorare i risultati scolastici, anche mediante adeguati investimenti mirati”.

In effetti le informazioni veicolate dai più recenti dati Invalsi – al netto del peggioramento relativo, dovuto alla chiusura della scuola e alla bassa efficacia della didattica emergenziale adottata, proporzionalmente speculare alla distribuzione dei livelli di apprendimento – nulla aggiungono al quadro conoscitivo sulla produttività del sistema scolastico di cui il Paese già disponeva. Risultano sostanzialmente equivalenti, infatti, a quelle già note grazie alle indagini sul prodotto culturale della scuola svolte a partire dalla prima cui l’Italia abbia partecipato: l’indagine internazionale IEA (International Association for the Evaluation of Educational Achievement), negli anni 1970 /1971 e le successive indagini IEA-TIMSS (Trends in International Mathematics and Science Study), IEA-PIRLS (Progress in International Reading Literacy Study) e, ancora, le indagini Ocse PISA (Programme for International Student Assessment). 

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