La brutta storia calabrese che chiede un cambio radicale di controllo

10 arresti, 13 indagati e 19 società sequestrate per 7 milioni di euro come valore stimato: in questi numeri drammatici lo scandalo nella scuola calabrese. Per gli arrestati l’accusa, a vario titolo, è di associazione a delinquere, corruzione, falso in atti destinati all’Autorità giudiziaria, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio e autoriciclaggio.

Riferiscono i media calabresi che i Carabinieri hanno sequestrato nelle abitazioni di alcuni arrestati 700mila euro, di cui 500mila in contanti e 200mila in titoli.

Il falso in atto pubblico sembra riferirsi soprattutto sia alla ben nota piaga dei diplomifici (istituti prevalentemente paritari che consentono il conseguimento molto facilitato dei diplomi) sia alla attribuzione di servizi mai prestati e titoli mai conseguiti (utilizzati spesso fuori regione per incrementare i punteggi delle graduatorie ATA e conseguire incarichi e supplenze).

Non si sa ancora se tra i falsi vi sia anche la produzione di diplomi falsi, ma le cronache calabresi parlano piuttosto di circa 20 mila diplomi originali, in bianco, sottratti all’USR Calabria per essere venduti senza necessità di sostenere esami per conseguirli.

Sulla prima questione, quella dei diplomifici, è necessario, molto più di quanto avviene normalmente, mettere in atto verifiche continue a cominciare dal rilascio della parità soprattutto per gli istituti (particolarmente quelli privati) che gestiscono istituti di secondaria di II grado.

Una spia evidente di come certi istituti si trasformano in diplomifici è data in modo visibile dalla progressione degli iscritti nei cinque anni di corso: quando le poche unità di iscritti dal primo al quarto anno registrano un’impennata nel quinto anno, è evidente che la facile idoneità all’ultimo anno ha consentito di accogliere numerosi privatisti che da interni accedono all’esame di maturità favoriti da molti commissari interni.

Quelle situazioni, evidentemente anomale, andrebbero immediatamente controllate e verificate, soprattutto quando quei privatisti, diventati studenti interni, provengono da città lontane e sono impossibilitati alla frequenza. Il controllo delle presenze nei registri metterebbe in luce eventuali falsi degli insegnanti e dell’istituto paritario. Purtroppo in Calabria uno degli arrestati era preposto al controllo degli istituti paritari.

Il falso delle attestazioni di servizio mai prestato e dei titoli mai conseguiti, a quanto risulta, sembra costituire un nuovo filone di indagini con la verifica di possibili assunzioni, soprattutto di personale ATA, che avrebbe potuto alterare i dati delle graduatorie, ottenendo nomine con contratto a tempo determinato (supplenze annuali) o anche con contratto a tempo indeterminato (ruolo).

Come è successo altre volte, coloro che si avvalevano di queste attestazioni fraudolente, evitavano le iscrizioni nelle province di residenza per evitare di essere riconosciuti.

I controlli in materia dovrebbero essere fatti (quando si fanno) con casualità (uno ogni dieci), cioè quasi mai, se non in qualche lodevole caso in cui un dirigente scolastico sospettoso cerca di accertare la corrispondenza tra quanto dichiarato e quanto effettivamente posseduto (con i legali dei falsari che gli si scatenano contro).

L’autocertificazione, diceva anni fa un carabiniere che aveva scoperto numerose frodi nelle dichiarazioni dei supplenti ATA, è una porta spalancata a chi vuole frodare.

A danno di chi ha diritto e merito – aggiungiamo noi.

Questa brutta pagina che purtroppo getta un’ombra sul sistema, a fronte di migliaia di scuole statali e paritarie che operano con correttezza e di tante persone che vi lavorano, reclama con forza una serie di interventi rigorosi che non indulgano a compromessi.