Istruzione tecnica e professionale, il modello 4+2 è legge. Il nodo dell’addestramento

Mercoledì 31 luglio la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il Ddl di riforma dell’istruzione tecnico-professionale, che introduce il modello della filiera del 4+2, come riferito dal nostro sito in questo servizio.

Immediate, e opposte, le valutazioni della maggioranza e dell’opposizione nonché, sul versante sindacale, quella della Flc Cgil. Così, mentre per il ministro Giuseppe Valditara si è trattato di una “giornata importante per il futuro dei ragazzi e del nostro sistema produttivo” – giudizio condiviso dagli esponenti di Fratelli d’Italia intervenuti nel dibattito (Gerolamo Cangiano in aula per dichiarazione di voto e Ella Bucalo, senatrice, viceresponsabile del dipartimento istruzione di FdI, con una nota) – per l’opposizione le legge approvata è in realtà una “controriforma che, ancora una volta, smonta uno degli assi più importanti disegnati dai Costituenti di questo Paese: la scuola pubblica, come grande infrastruttura civile, culturale e sociale” (Nicola Fratoianni, leader di AVS) e sostituisce l’insegnamento con l’addestramento (Vittoria Baldino, vicecapogruppo M5S a Montecitorio).

Proprio sul termine “addestramento”, introdotto nella legge a seguito di un emendamento (accettato) presentato dalla senatrice di Italia Viva Daniela Sbrollini con riferimento alla Buona Scuola del governo Renzi, si è sviluppata una vivace polemica tra i suddetti parlamentari, e altri del PD, e il ministro Valditara, che nella sua replica ha anche citato l’Enciclopedia Treccani, che “a proposito di addestramento, parla di istruire, preparare, impratichire. E vorrei anche citare il riferimento concreto, quando si fa cenno alla ‘stipula di contratti di prestazione d’opera per attività di insegnamento e di formazione, nonché di addestramento nell’ambito delle attività laboratoriali e dei percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento’. Dunque, è la parola corretta e mi dispiace che evidentemente ci sia – voglio sperare – un fraintendimento”.

Il nocciolo della questione è costituito dalla necessità di dare una rapida e concreta soluzione al sempre più grave problema del mismatch tra l’offerta del sistema educativo e la domanda di competenze pratiche, operative, proveniente dal mondo del lavoro. Un problema che in passato è stato più volte affrontato in modi diversi (basti pensare al ‘Progetto 92’ dell’Istruzione professionale e ai progetti assistiti dell’Istruzione tecnica nei primi anni Novanta dello scorso secolo, e prima ancora all’area comune dei Programmi Brocca e ai diversi, falliti tentativi di creare in Italia una fascia di istruzione terziaria professionalizzante), ma senza mai sfociare in una soluzione istituzionale idonea a risolverlo davvero in modo efficace.

Il modello 4+2 tenta di correggere il mismatch prevedendo, all’interno del processo formativo, un apporto del mondo delle imprese alla definizione dei percorsi e delle competenze operative degli studenti. È proprio questo il punto sul quale si concentrano le critiche dell’opposizione e della Flc Cgil (più cauti gli altri sindacati, e addirittura benevolo il giudizio dell’Anief). Per Gianna Fracassi, segretaria della Flc, “con l’inserimento dei privati anche nella programmazione dell’offerta formativa e con l’attivazione di percorsi quadriennali si crea una formazione di ridotta qualità, e si apre alla regionalizzazione e alla privatizzazione della scuola pubblica”, costruendo “percorsi formativi di serie B, anzi ‘percorsi addestrativi’ indirizzati verso le classi sociali più svantaggiate”.

Ma ormai il 4+2 è legge. Si tratta ora di verificarne l’efficacia. Valditara ha fatto la sua scelta, e presto vedremo se i fatti gli daranno ragione.