Indicazioni/1. Una polemica rivelatrice

Durante la scorsa settimana il sito internet di Tuttoscuola ha ospitato un vivace scambio di opinioni tra Claudio Gentili, direttore del settore Education di Confindustria, e Giorgio Israel, uno dei principali collaboratori del ministro Gelmini. Oggetto del contendere, al netto delle reciproche insofferenze, la filosofia alla quale si ispira la bozza di Indicazioni nazionali dei licei apprestata dalla cosiddetta “Cabina di regia”, la commissione ministeriale coordinata dal consigliere del ministro Max Bruschi.

Lo spunto per lo scambio di opinioni è stato fornito dal dibattito sulla bozza, promosso dal quotidiano online il sussidiario.net. Ha cominciato Gentili, che pur apprezzando il lavoro svolto dalla commissione ha osservato che “il limite più evidente di queste Indicazioni nazionali è immaginare che si possa tornare ai tempi in cui Berta filava e così superare la dilagante ignoranza dei ‘nativi digitali’“. Nel mirino di Gentili stava un certo ritorno al primato dei contenuti e delle conoscenze disciplinari che egli ravvisava nella bozza di Indicazioni, e che gli sembrava andare in direzione opposta a quella della “migliore ricerca pedagogica internazionale (che) tende sempre più a collegare discipline e competenze e a passare da una scuola della trasmissione delle conoscenze a una scuola che sviluppa l’apprendimento delle competenze“.

Ma è proprio al concetto di “competenza” che Israel rivolge una critica frontale, come d’altra parte fa da anni in articoli e libri. La considera teoreticamente oscura, ambigua, “non misurabile”, nella migliore delle ipotesi frutto di un approccio “empirico”, e quindi non utile, se non addirittura dannosa (una “chincaglieria mentale”) se considerata come il punto di approdo dei processi di insegnamento e apprendimento. Perciò respinge l’obiezione di Gentili alla bozza di Indicazioni, difendendone l’attuale impostazione, che considera la competenza come strettamente connessa al saldo e prioritario possesso delle conoscenze: “una teoria che non si accompagni alla capacità di applicarla e svilupparla è frutto di pessimo insegnamento“, sostiene, e d’altra parte “il successo della scienza occidentale sta proprio nell’aver preferito all’approccio empiristico il metodo sperimentale guidato dalla teoria“.