Il voto è un capriccio adulto. Ecco perché

Il dibattito sulla scuola di questi ultimi mesi sembra occuparsi più del solito di questioni valutative. In particolare, stanno assumendo rilevanza le reazioni critiche nei confronti di scuole e docenti che hanno deciso – in piena coerenza con la normativa e della ricerca pedagogica – di incentrare la valutazione in itinere su riscontri descrittivi e non sui voti. Paola Mastrocola, scrittrice ed ex insegnante, lo scorso ottobre ha stigmatizzato su La Stampa la scelta di una scuola secondaria milanese di non assegnare voti in itinere. Mastrocola ha rilevato che sebbene il voto possa produrre ansia e stress esso rappresenta comunque sia un riscontro degli sforzi compiuti da studentesse e studenti sia uno stimolo ad apprendere. Qualche giorno dopo è stata la volta di Paolo Crepet. In tv il noto psichiatra e opinionista ha affermato che “Togliere i voti è come dire a Sinner: ‘Domani giochi e non ci sono i punti, non c’è il tabellone’. E allora cosa vai a fare?”. A novembre a difesa del voto si sono schierati sia un gruppo di docenti di un liceo romano sia Fratelli d’Italia, ovvero il partito che esprime la Presidenza del Consiglio. Nel primo caso, a fare notizia è stato un voto contrario in Consiglio d’Istituto (conclusosi con una spaccatura: 37 docenti contro 36) alla sezione “delle Relazioni e della responsabilità” del liceo Morgagni. La sezione rappresenta un’esperienza di valutazione educativa senza voti in itinere che va avanti da sette anni sotto la supervisione scientifica dell’Università Sapienza ed è stata documentata dal professor Vincenzo Arte in “Crescere senza voti”, libro uscito nelle settimane che hanno preceduto la bocciatura da parte del Consiglio d’Istituto. Nei giorni immediatamente successivi, il gruppo di docenti del Morgagni contrario alla prosecuzione dell’esperienza ha pubblicato una lettera per spiegare la propria decisione. Nella lettera (anonima) il gruppo di docenti afferma l’importanza di una scuola che aiuti ad affrontare lo stress e sostiene che il voto abbia un’incidenza positiva “sul percorso di crescita formativa dello studente”. Il gruppo di docenti afferma di credere “nella valutazione numerica perché le tappe di un cammino sono segnate da numeri che indicano i chilometri fatti e quelli ancora da fare,  spesso aiutano gli alunni a capire in che modo costruire il proprio percorso di consapevolezza e di acquisizione di competenze e di saperi”.

Nello stesso tempo, la sottosegretaria Paola Frassinetti ha dichiarato che tornerà il voto alla scuola elementare perché la valutazione non numerica avrebbe creato confusione e complicato il lavoro di scuole e docenti. In un convegno organizzato da FdI il 16 novembre scorso, Frassinetti ha ribadito l’importanza di una valutazione “chiara e oggettiva”, in grado di premiare il merito e migliorare l’apprendimento. Le argomentazioni a favore del voto che abbiamo riportato rappresentano un buon compendio di quella incultura valutativa che con le sue deficienze di natura psicologica, pedagogica e didattica caratterizza è molto diffusa fuori e dentro le scuole.

Per ragioni di spazio ci soffermeremo solo su alcune tra le carenze mostrate dai passaggi citati. Tanto per cominciare, spicca una certa tendenza a confondere misurazione e valutazione. In ambito valutativo, definiamo misurazione l’osservazione della distanza tra attese e realtà. Misuriamo operando un confronto tra lo svolgimento di determinate attività e i correlati obiettivi di apprendimento (per esempio: quante e quali risposte esatte sono state fornite a domande che testavano determinate conoscenze?). La rilevazione di questa distanza riveste un ruolo fondamentale all’interno del processo valutativo, ma non coincide con esso. È infatti su questa distanza che emettiamo i nostri giudizi di valore.

Infatti, la valutazione che ha effetti positivi sullo sviluppo di apprendimenti è un processo che ci consente di emettere un giudizio di valore (non esistono valutazioni oggettive) sulla distanza rilevata tra obiettivi e realtà in modo tale da assumere decisioni che ci consentano di ridurre tale distanza. La misurazione non coincide con la valutazione, ma è un elemento intermedio, posto all’interno del processo valutativo. Quando decidiamo di valutare facciamo delle scelte sulle misure che ci consentiranno di misurare. Per questo motivo, le nostre misure sono intrise di atti valutativi.

Infine, formuliamo un giudizio sulle misure in modo tale da assumere decisioni utili a ridurre la distanza tra quanto osservato e quanto auspicato. Per fare questo è ovviamente necessario descrivere l’attività svolta fornendo indicazioni concrete per migliorarla. Un’altra confusione è quella relativa alla definizione e alla funzione del voto. Il voto non è in sé una misurazione né una valutazione. In realtà esso è una particolare forma comunicativa di una particolare forma di valutazione, ovvero quella sommativa. La valutazione sommativa serve a indicare il livello degli apprendimenti raggiunto al termine di un percorso. Il voto è una sintesi ordinale che può essere numerica (“6”, “7”) o non numerica (“sufficiente”, “discreto”). Esprimere questa sintesi numericamente non trasforma una scala ordinale in una scala a intervalli (questo significa che fare la media aritmetica coi voti numerici è un errore gravissimo).

Questo è solo un estratto dell’articolo presente all’interno del
numero 639 della rivista Tuttoscuola.

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Chi è l’autore 
Cristiano Corsini
Docente ordinario dell’Università di Roma Tre. La sua attività di ricerca è finalizzata all’analisi dei paradigmi, degli approcci e delle scelte metodologiche che caratterizzano le prassi valutative di scuole, università, docenti e istituti preposti alla valutazione educativa (Invalsi, Anvur, Oecd, Iea). Le aree d’indagine sono quattro. La prima è relativa all’impiego, da parte di scuole, università e docenti, di strumenti e approcci valutativi finalizzati all’autovalutazione  e alla valutazione, con particolare riguardo all’utilizzo della valutazione formativa come strategia didattica e di sviluppo di contesti complessi. La seconda è legata all’analisi dei sistemi di accountability educativa, all’impiego di modelli del valore valore aggiunto e di altri indicatori di efficacia a livello scolastico e universitario. La terza indaga il ruolo degli stereotipi, con particolare riferimento a quelli di genere, nei processi valutativi. La quarta, infine, è relativa allo sviluppo della ricerca-formazione come elemento di sintesi tra didattica e indagine scientifica.

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Sfogliando il numero di febbraio di Tuttoscuola scoprirai come è cambiato il numero di precari dall’A.S. 2015/16 al 2022/23 considerando che la percentuale è in crescita costante e certifica la patologia del precariato confermando tutta l’emergenza di una situazione difficile da portare a soluzione in modo strutturale e in tempi relativamente brevi. Ma non solo. Nel numero sono presentate anche le province in cui la situazione relativa al precariato scolastico è più grave.

All’interno del numero di febbraio di Tuttoscuola troverai inoltre anche approfondimenti sulla valutazione che cambia con un focus sul ruolo del docente. Franca Da Re è invece intervenuta sul tema della competenza personale e sociale e sulla capacità di imparare ad imparare, mentre Italo Fiorin  sui tanti limiti della didattica trasmissiva, tra cui la concezione delle discipline di insegnamento molto riduttiva. Da non perdere il dossier de La Scuola che Sogniamo dedicato a Scholas Occurentes!

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