
A un mese di distanza dalla sentenza il tribunale dell’Aquila tornò però sulla materia stabilendo che la competenza non era del giudice ordinario, ma di quello amministrativo, cioè del TAR, perché non si era in presenza della lesione (“ancorché subliminale”) di un diritto soggettivo, ma solo di una questione amministrativa, l’applicabilità o meno della normativa che regolava la materia, cioè delle disposizioni sul cosiddetto “ordinario arredamento delle aule scolastiche“, risalenti agli anni venti, formalmente mai revocate, e quindi ancora in vigore.
Scrivemmo allora (TuttoscuolaNEWS n. 128 dell’1 dicembre 2003) che la controversia era destinata a complicarsi, e che ci sarebbe stato molto lavoro per magistrati e avvocati, forse anche per la Corte costituzionale. Ma che “quello della presenza del crocifisso nelle aule delle scuole statali italiane non è, o almeno non è soltanto, un problema giuridico, sul quale rassegnarsi ad assistere alle sottili controversie degli azzeccagarbugli. Il problema è prima di tutto politico-culturale, e riguarda il valore che si vuol assegnare a quel simbolo: se si esplicitasse, nelle forme, eventualmente anche giuridiche, più adatte, il significato di misericordia, dialogo, non violenza che il crocifisso esprime, non ci sarebbe ragione per chiederne la rimozione. Sarebbe un simbolo amichevole anche per gli allievi di religione non cristiana“.
Non abbiamo cambiato idea.
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