Il Patto per la scuola al centro del paese/2

Dal punto di vista dei contenuti, il Patto per la scuola al centro del Paese si fonda sulla novità costituita dalle risorse del Next Generation EU, che rappresentano l’occasione per il rilancio della centralità della scuola. Difficilmente senza queste risorse finanziarie, e senza la svolta nella politica economica che è stata determinata dalla necessità di combattere gli effetti della pandemia, l’Italia avrebbe avuto a disposizione soldi da investire nel campo dell’istruzione. In effetti, il temporaneo abbandono della politica del rigore e del pareggio di bilancio a favore di una politica che gli economisti chiamano di “deficit spending” costituisce, per il nostro Paese, un treno da prendere al volo, per ammodernare le strutture portanti della collettività nazionale. Il che indica che gli investimenti devono essere mirati e altamente produttivi, altrimenti si trasformeranno solo in ulteriore “debito cattivo” sulle spalle delle nuove generazioni, a rischio di schiacciarle per sempre.

E se la scuola è centrale per il paese, la figura del docente, secondo quanto si legge nel documento, è centrale per riposizionare la scuola al centro del processo di sviluppo del Paese. Di qui, la necessità di interventi strutturali sugli organici, tramite la loro programmazione pluriennale; nuove procedure di reclutamento che consentano di realizzare la partenza dell’attività didattica a pieno regime sin dall’inizio dell’anno (addirittura del prossimo, il che pare francamente molto ambizioso), ma anche selezionando le persone con le competenze più adeguate – che vanno verificate – all’importante compito a loro assegnato; formazione iniziale integrata tra Università e Scuola; definizione di un sistema strutturato e codificato di formazione continua obbligatoria; riforma degli organi di autogoverno delle scuole; politiche di valorizzazione salariale di tutto il personale della scuola; riduzione del numero degli alunni per classe e per singola scuola (per favorire in prospettiva un apprendimento personalizzato, ci auguriamo), anche qui a partire dal prossimo anno. È il caso di dire che anche quest’ultima sembra un’affermazione impegnativa, alla luce del fatto che il numero delle classi e gli organici del prossimo anno sono ormai stati definiti. A meno che non si intenda riferirsi, con ciò, alla conferma dell’organico aggiuntivo COVID, il che si attaglierebbe alla riduzione del numero degli alunni per classe (a condizione che si trovino gli spazi), meno alla riduzione del numero degli alunni per scuola, dove si pongono chiaramente i problemi e i limiti che sono legati all’edilizia scolastica.

A proposito di quest’ultima, il Patto non trascura la necessità di intervenire sull’edilizia scolastica, per affermare l’obiettivo di adeguare le strutture esistenti alle necessità della sicurezza antisismica a antipandemica, oltre che per esigenze di efficientamento energetico. È il caso di sottolineare il particolare valore di questa tipologia di intervento, che può costituire una valida misura a sostegno di un settore economico, quello edilizio, che il mondo dell’economia considera trainante rispetto al sistema economico complessivo, mediante politiche che non mettono in gioco misure che favoriscano ulteriore consumo di territorio, ma che sono tese alla manutenzione del patrimonio edilizio pubblico esistente. Una valida alternativa alle discusse “grandi opere”, che si sono spesso rivelate “cattedrali nel deserto”, prive di una vera utilità sociale. Interessante, da questo punto di vista, il passaggio nel quale si indica la necessità di ridefinire le responsabilità del datore di lavoro in materia di sicurezza, aprendo la strada all’alleggerimento degli oneri gravanti sui dirigenti scolastici, chiamati a rispondere di processi manutentivi e di adeguamento che fanno capo agli enti locali. Troverebbe così soluzione un problema che i sindacati della scuola evidenziano da tempo: gli oneri impropri scaricati sulla figura professionale del dirigente scolastico, che, di fatto, risponde per omissioni ed errori di altri soggetti istituzionali.

Non potevano mancare, nell’elenco degli obiettivi, il contrasto alla dispersione scolastica e la riduzione dei divari territoriali, che della dispersione è l’altra faccia. Di qui la necessità di rafforzare la rete di supporto alle istituzioni scolastiche, tra Stato, Regioni ed Enti Locali.

Ancora, da segnalare l’impegno allo sviluppo di processi formativi a beneficio di tutte le figure professionali della scuola, non solo quella docente, nonché il rafforzamento della struttura amministrativa, centrale e periferica.

Ultima, ma non ultima, la necessità di semplificare e armonizzare una normativa sempre più complessa e stratificata, attraverso la redazione di un nuovo Testo Unico, data la pratica inservibilità, oramai, del glorioso Decreto Legislativo 297/1994, sempre più simile a una bandiera che porta i segni e lacerazioni delle tante battaglie sostenute.

Nell’ampio spettro delle questioni citate nel Patto, c’è sicuramente qualcosa che manca: non compare una volta la parola sviluppo professionale, non si prefigura una carriera, laddove oggi nella scuola l’unica possibilità per un docente di fare un vero scatto professionale è quella di diventare dirigente scolastico, che è un altro mestiere.

L’egualitarismo assoluto – come Tuttoscuola ha scritto più volte, anche se molti non vogliono affrontare l’argomento, che però è cruciale – è alla base del cattivo funzionamento del sistema. Impedire una prospettiva non è motivante, fare parti uguali tra diversi non è equo, anche se può essere più comodo. Lo sappiamo tutti. In un documento in cui, nella prospettiva del PNRR, si dovrebbe stringere un patto per disegnare la scuola che vogliamo tra 10 o 20 anni, la questione andava quanto meno inserita nel novero.