
Gli studenti, attraverso ricerche geo-storiche e lettura di giornali, riflettono sul fenomeno dell’innalzamento di barriere a suggello delle divisioni territoriali, culturali e religiose.
Partendo dal concetto di confine emergono i concetti di limite naturale e di limite politico visti come strumento di una netta separazione.
I ragazzi, passando dall’idea di territorio connessa all’esistenza di uno Stato, osservano che non sempre montagne, fiumi e mare costituiscono dei netti confini tali da separare in modo definitivo una nazione dall’altra e che nella storia le frontiere politiche non sono riuscite a separare le comunità etniche e le comuni radici storiche.
Durante la conversazione con la classe, si prende spunto anche dalla realtà quotidiana e dalla cronaca (liti condominiali, discordanze familiari, contrasti tra amici…) per evidenziare come, in caso di divergenze e incomprensioni, si tenda a dividere uno spazio e a indicare un limite fisico oltre il quale non si può accedere.
Il docente invita pure gli alunni a riflettere sui quei tipi di confini che, pur se invisibili, costituiscono, nella realtà, veri e propri elementi di separazione tra le genti: i confini culturali ed etnici.
L’unità di apprendimento multidisciplinare proposta suggerisce diverse piste di indagine sui luoghi più “caldi” riguardanti conflitti prevalentemente etnico-religiosi: il genocidio dei curdi, la strage armena, il caso Tibet oppure, tra le tante guerre d’Africa, Rwanda, Burundi, Etiopia, Congo… Uno sguardo alla storia precedente, invece, conduce agli irredentismi d’Europa.
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