Il contrasto alla Buona Scuola colpisce senza ragione l’Invalsi

Da tutta questa vicenda della contestazione alla Buona Scuola l’Invalsi esce, in modo imprevisto fino a tre settimane fa, un po’ ammaccato.

E pensare che le prove per la rilevazione degli apprendimenti non erano per niente comprese tra i motivi della protesta, visto anche che la valutazione del sistema d’istruzione non era stata nemmeno sfiorata dal ddl.

C’era, sì, lo sciopero dei Cobas, ma quell’astensione, già decisa da tempo a prescindere dalla Buona Scuola e, stando ai livelli di adesione degli anni precedenti, avviata a raccogliere effetti negativi fisiologicamente accettabili, ha contribuito invece ad aprire una breccia.

La scelta (casuale?) del giorno dello sciopero generale in coincidenza con la prima prova Invalsi in calendario da mesi e il suo inevitabile slittamento hanno dato luogo, come si è visto, ad un cambio del bersaglio da colpire, soprattutto negli istituti superiori.

In questo modo le prove Invalsi sono finite nel tritacarne della mobilitazione e, quel che è preoccupante, una parte del mondo sindacale, oltre ai Cobas, ha cavalcato l’onda ribellista, senza più nascondere l’avversione di fondo che in qualche modo, ipocritamente, aveva accompagnato in questi ultimi tempi l’attività dell’Invalsi.

A questo punto non si tratta di accertare se la validità complessiva (la significatività) delle prove sia stata o no compromessa (soprattutto negli istituti superiori dove molti studenti  avrebbero boicottato le prove), perché formalmente (e forse sostanzialmente) la rilevazione dovrebbe essere salva.

Ma la ferita inferta alla rilevazione, mentre il mondo politico stava a guardare e quello sindacale sorrideva compiaciuto, potrebbe fermare il processo che faticosamente il sistema di valutazione stava costruendo.

È la cultura della valutazione che apparentemente ha fatto un passo indietro nella consapevolezza e nella condivisione delle famiglie e degli studenti e, forse, degli insegnanti.