Il 2025 della scuola, dalla A alla Z
Pubblichiamo, come consuetudine da oltre vent’anni, il riepilogo dei principali avvenimenti che hanno riguardato la scuola italiana nell’ultimo anno.
Con l’occasione porgiamo a tutti i più sinceri auguri per il 2026!
(L’originale, dal 2002)
Fatti, avvenimenti e persone – Consuntivo del 2025
A cura di TUTTOSCUOLA
A
Accredia (tutto l’anno): Fino a non molto tempo fa nel mondo della scuola era praticamente sconosciuta. Da quando il CCNL del personale della scuola (gennaio 2024) ha previsto che “per certificazione internazionale di alfabetizzazione informatica deve intendersi la certificazione rilasciata da un ente accreditato presso l’ente di accreditamento nazionale”, il nome di Accredia ha cominciato a circolare in misura crescente nel sistema di istruzione. Ed è prevedibile che diventerà sempre più famoso, in quanto soggetto chiave per la certificazione delle competenze, per ora di quelle digitali, in futuro chissà. In particolare gioca un ruolo nell’ambito dell’istruzione non formale (che viene documentata nell’ambito del Portfolio dello studente e del personale), che si affianca alla certificazione delle competenze dell’istruzione formale, fornita dalle stesse istituzioni scolastiche.
Ma cosa è il sistema di certificazione sotto accreditamento? E’ uno dei meccanismi più affidabili per garantire la conformità di prodotti, servizi e sistemi di gestione alle norme tecniche riconosciute a livello nazionale e internazionale. Lo si utilizza in tutti i campi – dall’aerospazio all’agricoltura ai servizi – e in tutto il mondo. Opera nell’ambito delle norme UNI (Ente Italiano di Normazione), EN (norme europee) e ISO (International Organization for Standardization), fornendo uno strumento essenziale per il miglioramento della qualità e il rafforzamento della fiducia tra organizzazioni, utenti (o consumatori) e istituzioni.
E chi è Accredia? E’ un’associazione riconosciuta, senza scopo di lucro, che opera sotto la vigilanza del Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Fa anche parte della rete European Co-Operation for Accreditation (EA) e International Accreditation forum (IAF) che gestiscono gli accordi di mutuo riconoscimento. Per questo la certificazione sotto accreditamento è valida in tutto il mondo.
Certificare sotto accreditamento significa garantire al pubblico (nel caso della scuola a tutti gli stakeholders) che un Ente di Certificazione è stato verificato in termini di adeguatezza da un soggetto di controllo super partes, che è appunto l’ente di accreditamento. Il quale poi vigila sugli enti accreditati (e può revocare loro l’accreditamento se fanno qualcosa di sbagliato). Dopo l’era dei “certificatifici”, che ha intossicato per anni la scuola italiana, alterando graduatorie concorsuali e non, un bel passo avanti.
I certificati emessi vengono poi inseriti in un registro pubblico sul sito di Accredia: chiunque può verificare lì la veridicità di un certificato e il livello di padronanza di una certa competenza.
La bozza della nuova Ordinanza sulle GPS per il 2026-28 – sulla quale il CSPI ha espresso un parere con suggerimenti fondamentali – prevede per il riconoscimento di nuovi punteggi in graduatoria che da ora in avanti relativamente alle certificazioni informatiche, varranno solo quelle rilasciate da enti accreditati ad Accredia (che ad oggi ne ha previste due: DigComp 2.2 e DigCompEDU).
AI (Artificial Intelligence) (dicembre) – Il 2025 segna il passaggio dell’intelligenza artificiale da tema emergente a questione strutturale per la scuola. Non per effetto di una riforma (anche se il Ministero dell’istruzione ha pubblicato le Linee guida per l’introduzione dell’IA nelle istituzioni scolastiche), ma per uso spontaneo. Studenti che la utilizzano per scrivere testi, risolvere esercizi, preparare interrogazioni; docenti che oscillano tra sperimentazione e diffidenza; dirigenti scolastici e Dsga che la utilizzano come supporto alla gestione.
Il problema non è tecnologico, ma pedagogico. L’IA mette in crisi valutazione, compiti tradizionali, confine tra supporto e sostituzione. La scuola è chiamata a decidere non se consentirla, ma come governarla, senza ridurla né a scorciatoia né a demonio. L’IA non mette in crisi solo strumenti e verifiche, ma il patto implicito della valutazione: che cosa significa “lavoro personale” quando l’accesso all’aiuto intelligente è immediato? La risposta non può essere solo normativa o punitiva. Le scuole che finora hanno reagito meglio sono quelle che hanno trasformato il problema in occasione di riflessione didattica, ridefinendo consegne, processi e criteri.
E’ chiaro che siamo all’inizio di una rivoluzione. Il supplemento tecnologico del Corriere della Sera, Login, formula una previsione sull’evoluzione dei sistemi scolastici di qui a 10 anni riferendo l’opinione di Demis Hassabis, premio Nobel per la chimica nel 2024 e co-fondatore di Google Deepmind.
A suo giudizio la nuova frontiera aperta dall’AI è quella dell’apprendimento personalizzato. Con l’aiuto dell’AI gli insegnanti potranno predisporre piani didattici individualizzati, proponendo per gli studenti più capaci obiettivi aggiuntivi, più sfidanti, e per quelli meno performanti appositi percorsi di recupero. Tutto questo sarà reso possibile dall’AI, che non sostituirà l’insegnante, ma lo supporterà, cambiandone il ruolo. Meno lezioni frontali, più collaborazione in gruppi su progetti, in cui l’insegnante faciliterà l’interazione tra i singoli.
“Dovremo ripensare il sistema in modo radicale. Avremo strumenti che gli studenti useranno anche a casa, magari insieme ai genitori, per togliere dall’aula una parte dell’apprendimento più meccanico. E il tempo in classe potrà essere dedicato a un livello diverso, più astratto: imparare su sé stessi, capire come si impara, sviluppare capacità di adattamento. Gli strumenti comunque non sanno cosa fare da soli: i ragazzi dovranno imparare a coordinare una “squadra” di assistenti intelligenti, a dare loro una direzione”. La prospettiva disegnata da Hassabis trova conferma in diversi altri ricercatori, e la crescente velocità di sviluppo di tecnologie sempre più avanzate fa ritenere realistica la previsione di 10 anni per il completo riassetto dei sistemi scolastici nella direzione indicata della integrale personalizzazione dell’apprendimento. Il dubbio è se i decisori politici sapranno guidare questo processo, soprattutto in presenza di sistemi fortemente accentrati, com’è anche quello italiano. L’alternativa, se non lo sapranno fare, è che le grandi piattaforme tecnologiche ne insidino le prerogative.
B
Barriere architettoniche (novembre): Il ministro Valditara, in occasione della giornata internazionale delle persone con disabilità dichiara: “abbiamo anche avviato un grande piano di abbattimento delle barriere architettoniche nelle scuole (…)”
È sicuramente da apprezzare l’impegno espresso per un settore che merita più attenzione di quanto registrato in passato. E il gap accumulato è notevole.
Tuttoscuola ha effettuato una approfondita ricognizione sullo stato delle barriere architettoniche (sulla base dei dati del Portale unico del MIM per l’anno scolastico 2023/24). Cosa emerge?
La crescente presenza di alunni con disabilità che nell’anno scolastico 2025-26 nelle scuole statali ha raggiunto le 350mila unità (mediamente un alunno disabile ogni 20) sollecita il superamento delle barriere architettoniche, come previsto dall’art. 24 della legge 104/1992.
Qualche dato:
– Scale a norma per disabili: 22.093 su 29.639 edifici scolastici su più piani (74,5%)
– Porte a norma per disabili: 28.437 su 39.993 edifici scolastici (71,1%)
– Ascensori/Servoscale: 15.961 su 29.639 edifici scolastici su più piani (53,9%)
– Servizi igienici per disabili: 27.131 su 39.993 edifici scolastici (67,8%)
E’ importante la rinnovata sensibilità sul tema. Molto resta da fare.
Buona Scuola (luglio): Nel mese di luglio 2025 la legge 107/15, detta “Buona Scuola”, compie 10 anni, essendo stata approvata dal Parlamento il 13 luglio 2015 malgrado l’opposizione pressoché unanime dei sindacati, escluso quello più rappresentativo dei presidi, l’ANP.
Che cosa è rimasto di quella legge 10 anni dopo? Ben poco, perché le principali novità sono state disattivate (vedi la scelta dei supplenti e la valutazione meritocratica dei docenti in capo ai dirigenti scolastici) o depotenziate, come la formazione obbligatoria in servizio.
È sopravvissuta, con una serie di mediazioni al ribasso, l’alternanza scuola-lavoro, variamente denominata, prima PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento) e ora, dal 2025-1926, FSL (Formazione Scuola-Lavoro). Ma l’impianto tecnocratico della legge, che si reggeva sui super-poteri dei Dirigenti scolastici, in coerenza con il modello dirigistico-tecnocratico disegnato nella riforma costituzionale dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, crollò insieme a quest’ultimo, travolto dall’esito negativo del referendum del 4 dicembre 2016.
C
Certificazioni (novembre): La questione delle certificazioni digitali ha interessato il confronto per la regolamentazione delle Graduatorie Provinciali per le Supplenze. In vista dell’Ordinanza ministeriale (attesa per le prime settimane di gennaio), il CSPI ha espresso parere favorevole per la loro valorizzazione, fornendo utili suggerimenti che il MIM farebbe male a non accogliere. La questione delle certificazioni necessita di un respiro più ampio, in una visione che vada oltre i confini interni del mondo della scuola come aveva indicato anche Mario Draghi nel rapporto sulla competitività quando l’anno scorso non si era limitato a invocare risultati migliori per il sistema di istruzione e formazione. “Per massimizzare l’occupabilità, – aveva dichiarato – si dovrebbe introdurre un sistema comune di certificazione per rendere le competenze acquisite attraverso i programmi di formazione facilmente comprensibili dai potenziali datori di lavoro in tutta l’UE (…). La visione finale è quella di gettare le basi per la creazione di una “Unione delle competenze” focalizzata su competenze pertinenti di alta qualità, indipendentemente da dove e come siano state acquisite. La certificazione formale e il riconoscimento di queste competenze devono essere progettati in modo da facilitarne l’utilizzazione in mercati del lavoro dinamici e in rapida evoluzione. La certificazione dovrebbe dipendere meno dal conseguimento di un’istruzione formale e diventare più flessibile e granulare. Ciò implicherebbe il riconoscimento e la convalida delle competenze acquisite attraverso diversi percorsi di apprendimento, formazione professionale e apprendimento basato sul lavoro. Per dimostrare competenze e abilità dovrebbero essere presi in considerazione e promossi anche le micro-credenziali e i badge digitali. Infine, i certificati professionali rilasciati in tutta l’UE dovrebbero seguire un approccio il più possibile uniforme per facilitarne il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri, come in un vero e proprio Mercato Unico delle competenze che faccia dialogare il più possibile i diversi segmenti di mercato per quanto riguarda le competenze trasversali”.
Il profilo del docente della scuola di domani non può non comprendere questa nuova visione delle competenze professionali arricchite da certificazioni digitali accreditate per la loro qualità. Esistono già gli strumenti per implementare questo modello, dal sistema di certificazione sotto accreditamento al Portfolio dello studente al Portfolio del personale della scuola (che necessita dei provvedimenti attuativi). Il 2025 è stato l’anno di una timida, lenta presa di coscienza di questa visione. Il 2026 sarà l’anno in cui diventerà patrimonio comune?
Concorsi PNRR (ottobre): Parte la terza fase dei concorsi PNRR con l’obiettivo di concludere le nomine dei vincitori a settembre, un obiettivo finora mancato nei due precedenti concorsi, PNRR1 e PNRR2. Un concorso è sempre un’occasione da sfruttare per mettersi in gioco e per cercare di dare una svolta alla propria vita, ma il concorso PNRR3, probabilmente, per una serie di ragioni, rappresenta anche un’occasione pressoché irripetibile. Oltre alla quantità di posti messi a concorso, oltre 58mila, una quantità pari a tre volte i posti del precedente concorso PNRR2 che erano stati soltanto poco più di 19mila, questo, infatti, è anche l’ultimo concorso PNRR che prevede una procedura molto semplificata, senza passare dalla tagliola della prova preselettiva.
Inoltre, anche il concorso PNRR3 riserva il 30% dei posti (virtualmente circa 17.400) ai candidati con un passato da docente precario (almeno tre anni di servizio nell’ultimo decennio, prestati in scuole statali).
Il piatto è indubbiamente ricco, ma, per meritarselo, i candidati dovranno superare una specie di forca caudina, voluta dal ministero per velocizzare le procedure concorsuali in funzione delle nomine dei vincitori entro i termini fisati dal PNRR.
La forca caudina consiste nello sfoltire il numero di candidati che, pur superando la prova scritta con il voto di almeno 70/100, non rientrano nella quantità ristretta degli ammessi all’orale (tre volte il numero dei posti a concorso più coloro che hanno conseguito lo stesso punteggio dell’ultimo degli ammessi).
In questo nuovo concorso PNRR3 il 12,5% dei posti a concorso – praticamente un posto ogni otto – è rappresentato da posti di sostegno, il settore che, più che in altre classi di concorso, anche nei precedenti concorsi PNRR1 e PNRR2 ha registrato criticità, in particolare, per lo squilibrio territoriale tra candidati e posti, squilibrio che ha determinato spesso la non completa copertura dei posti messi a concorso.
Condotta (luglio) – Il Consiglio dei Ministri approva in via definitiva i regolamenti che riformano il voto di condotta e la disciplina della valutazione degli studenti della scuola secondaria, dopo i pareri favorevoli espressi dal Consiglio di Stato. Le misure, operative già a partire dall’anno scolastico 2025/2026, sono per il ministro Valditara un “segnale forte e chiaro” in direzione della costruzione di una “scuola fondata sulla responsabilità e sul merito”.
Viene restituita centralità al voto di condotta: il comportamento degli studenti sarà valutato lungo l’intero anno scolastico e terrà conto, in particolare, di eventuali episodi di violenza o aggressione ai danni del personale scolastico e di altri studenti.
Saranno ammessi alla classe successiva le studentesse e gli studenti che, in sede di scrutinio finale, avranno ottenuto una valutazione superiore a sei decimi. Inoltre, un voto di condotta pari a sei decimi comporterà la sospensione del giudizio di ammissione alla classe successiva e la redazione di un elaborato su tematiche di cittadinanza attiva, collegato ai motivi che hanno determinato il voto ottenuto.
Per quanto riguarda le sanzioni, non avranno un carattere meramente punitivo: al posto della sospensione dalle lezioni sono previste attività di approfondimento sulle conseguenze dei propri comportamenti scorretti o, nei casi più gravi, lo svolgimento di attività di cittadinanza solidale presso enti o associazioni previamente individuati dalle scuole.
D
Dimensionamento delle istituzioni scolastiche (gennaio): L’autonomia scolastica compie 25 anni, con essa anche le istituzioni scolastiche, perno del sistema autonomistico, hanno compiuto un quarto di secolo.
Mentre il sistema scolastico ha registrato una evoluzione fisiologica, determinata soprattutto dall’andamento demografico della popolazione scolastica, il numero delle istituzioni scolastiche ha, invece, subito riduzioni per effetto delle diverse norme sul dimensionamento, secondo una logica (miope, diciamolo, e peraltro tristemente bipartisan perché adottata praticamente da tutti i governi che si sono alternati in questo quarto di secolo) non di funzionalità ma di contenimento della spesa. Ci si è accaniti sulle categorie (Dirigenti scolastici e Dsga) che rappresentano poco più dell’1% della spesa per il personale, ma che svolgono un ruolo cruciale per la qualità del sistema.
Una prima riduzione del numero delle istituzioni scolastiche era stata registrata con l’introduzione dell’autonomia scolastica, quando il numero delle istituzioni scolastiche funzionanti al termine del 1997 erano state ridotte da 11.032 a 10.276 con un decremento di 756 unità, pari ad una flessione di circa il 7%.
Le variazioni sono continuate e continuano tuttora. Alla fine del 2014 le 10.276 istituzioni scolastiche presenti all’inizio dell’autonomia erano state ridotte a 8.519, con un decremento di 1.757 unità, pari ad una flessione del 17%.
L’anno scorso, al 31 dicembre 2024, il loro numero si era ridotto a 7.473 con un decremento ulteriore di 1.171 unità (-13,5%). Dall’inizio dell’autonomia scolastica, il loro numero è diminuito complessivamente di oltre 2.800 unità, con una flessione superiore al 27%. Contestualmente il numero di sedi per ogni istituzione scolastica è cresciuto a dismisura. Fino a quella scuola con 33 sedi su 7 Comuni…
Il rapporto di maggior rilievo è, comunque, quello dell’incidenza del personale docente per istituzione scolastica. Nel 1997, con 796.932 docenti di ruolo e non, vi erano 72 docenti in media per ogni istituzione scolastica. Mentre il numero dei docenti andava aumentando, il numero delle istituzioni scolastiche, come detto, diminuiva, tanto che sfiorava gli 80 docenti per istituzione all’inizio dell’autonomia, per superare la media di 96 docenti nel 2014, arrivando a sfiorare la media di 120 docenti per istituzione scolastica alla fine del 2024.
Diplomifici (aprile): Nel dicembre ’23, cinque mesi dopo la pubblicazione dei due dossier di Tuttoscuola che avevano scoperchiato il vaso di Pandora sui diplomifici, il ministero dell’istruzione e del merito dava notizia della preparazione di un disegno di legge contro i diplomifici.
Soltanto a fine marzo del 2024, il Consiglio approvava il disegno di legge che, tuttavia, veniva presentato in Parlamento soltanto in ottobre.
Trascorsi vari mesi di attesa, il ministro, prevedendo che la disposizione sarebbe arrivata troppo tardi, otteneva l’inserimento di un’apposita disposizione all’interno del decreto-legge approvato nell’aprile di quest’anno (DL 45); il decreto-legge in questione veniva formalmente convertito nella legge n. 79 nel giugno scorso.
La nuova disposizione – voluta con determinazione da un ministro che “ci ha messo la faccia” – finalmente ha previsto norme decisive per prevenire e contrastare il deprecabile fenomeno, a cominciare dalla disposizione che non consente di recuperare con gli esami di idoneità diversi anni scolastici, bensì prevedendo il massimo di recupero di due anni e che, in tal caso, gli esami di idoneità siano presieduti da un dirigente scolastico esterno.
Tuttavia, il ritardo di emanazione delle norme di applicazione non ha consentito l’avvio concreto delle norme contro i diplomifici in tempo utile per l’anno scolastico 2025-26. Occorrerà, pertanto, attendere il prossimo anno per avere finalmente in vigore norme di contrasto e di prevenzione dei diplomifici.
Meglio tardi che mai… il cambiamento non è da poco.
E
Erasmus+ (novembre) – La Commissione europea pubblica il nuovo bando Erasmus+ 2026, dotato di un budget di 5,2 miliardi di euro: un’occasione importante per scuole, università, enti di formazione, organizzazioni giovanili e sportive di tutta Europa interessate ad arricchire le competenze dei propri cittadini attraverso gli scambi di apprendimento all’estero e i partenariati di cooperazione in materia di Istruzione, Formazione, Gioventù e Sport.
Tutti i progetti dovranno prioritariamente tendere alla promozione dell’inclusione sociale, delle transizioni verde e digitale e della partecipazione dei giovani alla vita democratica. Rafforzato anche il supporto alle persone con minori opportunità e agli studenti ucraini colpiti dalla guerra.
La principale novità del nuovo bando è la nascita dei “Partenariati europei per lo sviluppo scolastico”, miranti a promuovere metodi di insegnamento innovativi e a rafforzare le competenze di base, la partecipazione democratica e i valori comuni europei. L’azione è in linea con la strategia europea Union of Skills, che punta a potenziare lo sviluppo delle competenze per l’occupazione e l’apprendimento permanente. Sono previste anche borse di studio Erasmus+ in settori strategici come le tecnologie pulite e digitali, per attrarre nuovi talenti verso le professioni del futuro. Tutti i particolari e i link alle iniziative di Tuttoscuola (a partire da un corso che si tiene in tempo utile per presentare i progetti) cliccando qui.
Edilizia scolastica (settembre): La pubblicazione del 14 luglio scorso sul Portale unico del MIM relativa ai dati dell’anagrafe dell’edilizia scolastica delle scuole statali presenta un quadro complessivo ben lontano dalla normalizzazione prevista o auspicata circa trent’anni fa dalla legge 23/1996.
Il dossier di Tuttoscuola accende i riflettori su una delle principali emergenze non solo della scuola, ma del paese.
Nove edifici scolastici su dieci non dispongono di una o più certificazioni obbligatorie in tema di sicurezza. Dei 40 mila edifici scolastici statali, ben 36 mila non si possono definire a norma. E non basta. Ben 3.588 edifici, il 9 per cento del totale, dove si calcola che studino e lavorino circa 700 mila tra studenti e personale della scuola, sono totalmente privi delle certificazioni obbligatorie, cioè sono completamente irregolari dal punto di vista della normativa sulla sicurezza.
Il dossier verifica per la prima volta in assoluto il numero di certificazioni disponibili per ciascuno dei 39.993 edifici. E restituisce così la sintesi di quanti edifici sono a norma e quanti no. Finora era noto che su una singola certificazione delle cinque fondamentali in tema di sicurezza (Certificato di agibilità, Certificato di prevenzione incendi, Certificato di omologazione centrale termica, Piano di evacuazione, DVR), la percentuale di edifici che ne disponeva era un tot. Dal dossier emerge invece quanti edifici sono pienamente a norma e quali no (purtroppo, all’anno scolastico 2023-24, il 90 per cento non lo erano: alzi la mano chi aveva questa precisa consapevolezza).
Il dossier spiega bene che si tratta di un fenomeno strutturale che si è stratificato nei decenni, e che l’attuale Governo, anche grazie ai fondi del PNRR, sta investendo molto segnando un’inversione di tendenza. Nonostante questo il ministro Valditara si affretta a precisare che i dati dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica – gestita dal MIM su dati forniti da Comuni e Province, proprietari degli edifici – pubblicati poche settimane prima sarebbero superati e incompleti. Nel frattempo il MIM si affretta anche a richiedere alle scuole DVR e Piano di evacuazione.
Anche in questo caso un buon lavoro giornalistico di analisi e proposta offre uno stimolo volto al miglioramento.
F
Finanziaria (dicembre) – La legge di bilancio 2026 (ex Finanziaria), approvata il 30 dicembre 2025, prevede una manovra da 22 miliardi di euro, la più contenuta dal 2014, all’insegna della prudenza, e quindi di scarse o limitate modifiche delle principali voci di spesa, comprese quelle per la scuola.
Vengono introdotti controlli più stringenti sui permessi per l’assistenza ai familiari con disabilità e l’obbligo per i dirigenti scolastici di coprire le supplenze brevi fino a 10 giorni utilizzando il personale dell’organico dell’autonomia, salvo che in caso di motivate esigenze didattiche.
La determinazione dell’organico dell’autonomia e di quello del personale ATA viene ridotta da tre a un anno, ma con possibilità di previsione pluriennale per i due anni scolastici successivi. Non cambia molto…
Viene introdotto un LEP (Livello Essenziale delle Prestazioni) per garantire agli studenti con disabilità un numero di ore di assistenza all’autonomia e alla comunicazione corrispondente a quello indicato nel PEI.
Viene incrementato di 250 milioni annui, a partire dal 2026, il fondo statale destinato alle borse di studio universitarie.
Viene estesa da 12 a 14 anni l’età del figlio per il quale i genitori possono chiedere il congedo parentale.
La norma politicamente più rilevante è quella che prevede un bonus di 1500 euro per le famiglie con ISEE inferiore a 30.000 euro che iscriveranno i figli alle scuole paritarie, e inoltre l’esenzione dal pagamento dell’IMU per quelle che non hanno fini di lucro. Un altro passo verso la parità anche economica tra scuole statali e paritarie.
Flop scioperi (tutto l’anno) – Neanche nel 2025 sono mancati gli scioperi nella scuola, quasi sempre sproporzionati tra adesioni effettive registrate dal cruscotto degli scioperi del pubblico impiego e chiusure delle scuole, soprattutto, per quelle dell’infanzia e della primaria, a causa dell’effetto annuncio e della incertezza sullo svolgimento del servizio.
Da marzo a dicembre sono stati proclamati undici scioperi in otto mesi di servizio scolastico, ben più di uno sciopero al mese.
Solo in un caso c’è stata un’adesione di poco superiore al 9%, mentre negli altri casi la percentuale è risultata di gran lunga inferiore, con sei scioperi che non hanno raggiunto nemmeno l’1% di adesione: un vero flop! Altri due scioperi hanno ottenuto percentuali di adesione tra l’1% e il 2%: anche per loro un altro risultato molto deludente. In alcuni casi sono stati promossi da sigle sconosciute.
Ma non è andato bene neanche lo sciopero generale del 12 dicembre 2025, proclamato dalla Cgil, cui ha aderito il sindacato di categoria, l’FLC-Cgil.
Una percentuale del 5,4% di aderenti. Hanno aderito allo sciopero 46.753 persone tra docenti e personale ATA, un numero ben lontano dai 156.194 iscritti alla Flc-cgil e ancora più distanti dai 272.936 che l’hanno votata nelle elezioni delle RSU. Evidentemente le motivazioni dello sciopero non hanno fatto presa.
G
Gaza (ottobre) – Molti studenti prendono parte alle manifestazioni pro Palestina a partire da quella, targata USB, del 23 settembre, e culminate in quelle del 3 ottobre (sciopero generale nazionale congiunto USB e CGIL) e 4 ottobre (manifestazione a Roma).
La forte partecipazione popolare a queste iniziative, dovuta anche alla vicenda della Global Sumud Flotilla (che non accoglie l’invito del Presidente Mattarella a dirigere le imbarcazioni a Cipro, utilizzando il canale umanitario ivi apprestato dal Vaticano), incide comunque sulla linea dello stesso governo italiano, che apre al riconoscimento dello Stato della Palestina (sia pure in un quadro di reciprocità con Israele) e invia una nave da guerra a protezione dei partecipanti alla Flotilla.
Nelle dimostrazioni più partecipate non sono mancati episodi di violenza, ma la grande maggioranza dei manifestanti è apparsa pacifica e pacifista, anche se emotivamente (più che politicamente, come notato da Giuseppe De Rita) molto coinvolta e solidale con il popolo palestinese.
Si nota che non altrettanta solidarietà suscita invece, almeno in Italia, l’infelice destino del popolo dell’Ucraina, sottoposto da anni ad attacchi indiscriminati da parte della Russia.
H
Homeschooling-Famiglia nel bosco (settembre-dicembre) – La vicenda della famiglia anglo-australiana che vive nel bosco in Abruzzo a Palmoli, in provincia di Chieti, iniziata a settembre con i primi accertamenti dei Servizi sociali volti a verificare se i minori (una bimba di 8 otto anni e due gemelli di sei) godessero di condizioni di vita e di educazione accettabili, si è rapidamente trasferita dalle cronache dei giornali alle aule del Tribunale dei minori dell’Aquila, che ha disposto la sospensione della potestà genitoriale dei genitori e il trasferimento coatto dei figli in una comunità educativa di Vasto, dove vengono assistiti da assistenti sociali e da un tutore, una avvocata, nominata dallo stesso Tribunale.
La vicenda – un caso estremo di homeschooling – ha scatenato uno scontro, con risvolti anche politici, tra i fautori del diritto di questi genitori a scegliere autonomamente come educare i loro tre figli (tesi sostenuta con particolare veemenza dal vicepremier Salvini) e i sostenitori del diritto dei bambini di frequentare una scuola insieme ai loro coetanei (molti magistrati, ma non il ministro Nordio, ed esponenti dell’opposizione).
A fine dicembre la situazione si è ulteriormente complicata perché il Tribunale, dopo aver confermato la permanenza dei tre bambini (e della madre che li può vedere solo poche ore al giorno) nella residenza protetta di Vasto, ha disposto anche una serie di controlli sulla salute mentale dei genitori e dei figli, suscitando un supplemento di critiche.
In uno dei nostri commenti abbiamo ricordato quanto il problema dell’educazione dei bambini sia complesso e antico, e quanto forti siano i suoi risvolti politici.
I
Intelligenza Artificiale Generativa (gennaio) – L’anno 1925 si apre con un ampio dibattito, che crescerà nel corso dell’anno, sulle opportunità e sui rischi connessi al rapidissimo sviluppo della applicazioni “generative” dell’Intelligenza Artificiale (AIG Artificial Intelligence Generative) che spaziano in moltissimi campi, da quello biologico, bioingegneristico e medico (telemedicina, chirurgia robotica), a quello educativo (dagli assistenti digitali ai chip impiantabili nel cervello) e – come sempre, e spesso prioritariamente, è accaduto anche in passato – a quello militare (sistemi di difesa e offesa regolati da algoritmi: un esempio di tragica attualità ne sono i droni).
In campo educativo si alternano speranze (che puntano sui vantaggi della didattica digitale) e timori (che gli studenti di disabituino alla riflessione autonoma): fondamentale è l’obiettivo che il soggetto umano conservi il controllo sull’operatività delle macchine sia quando apprende sia poi, nella vita professionale, quando sarà chiamato a utilizzarle.
Di qui l’importanza crescente, anche nel dibattito internazionale, dell’etica digitale e dell’algoretica, che si concentra sulle implicazioni etiche della progettazione e dell’uso degli algoritmi nei sistemi di intelligenza artificiale.
L
Latino (gennaio): Con le nuove Indicazioni nazionali si torna a parlare di latino nella scuola media. Della presenza e del ruolo del latino nella scuola italiana Tuttoscuola si è occupata più volte nel tempo, a partire dalla sua fondazione (1975), con l’intervento di autorevoli esperti e del suo stesso fondatore, Alfredo Vinciguerra, che in un articolo del marzo 1983, intitolato “Il rimpianto del latino”, ne auspicò la reintroduzione facoltativa almeno in terza media, come ricordato anche dall’ex ministro della PI Gerardo Bianco, autorevole latinista, nella sua testimonianza contenuta nello Speciale “Alfredo Vinciguerra trent’anni dopo”, scaricabile gratuitamente dal nostro sito.
Il confronto politico e culturale sul latino ha accompagnato la storia della scuola repubblicana fin dai lavori della Costituente (1947), quando il diritto di ciascun giovane, anche se povero, ad accedere a una scuola media di qualità, comprensiva dello studio del latino, fu sostenuto da Concetto Marchesi, illustre latinista e deputato del PCI, convinto a differenza di altri esponenti del suo stesso partito che l’apprendimento della “grammatica di una lingua morta” fosse “strumento più adatto di qualsiasi lingua viva alla formazione mentale dell’alunno”.
L’opinione di Marchesi, condivisa da uno schieramento trasversale ai partiti politici, influì sulla decisione di mantenere lo studio del latino, sia pure in forma facoltativa, nella scuola media unificata (legge n. 1859 del 31 dicembre 1962), e animò una forte resistenza alla definitiva soppressione del latino decisa con la legge n. 348 del 1977.
Pochi anni dopo, nel corso del dibattito sulla riforma della scuola secondaria superiore, che secondo alcune ipotesi allora circolanti prevedeva l’esclusione o la forte penalizzazione del latino, un gruppo di 130 prestigiosi intellettuali di diverso orientamento politico, compresi alcuni vicini al PCI (ma di “scuola Marchesi”) prese posizione contro tali ipotesi chiedendo anzi di tornare indietro sulla decisione del 1977.
Non se ne fece nulla, come nulla d’altra parte si fece sul fronte della riforma della scuola secondaria superiore. Da allora le preoccupazioni per la scarsa padronanza della lingua italiana da parte dei nostri studenti sono cresciute, alimentando – a destra come a sinistra – il “rimpianto del latino” come strumento utile per migliorare la conoscenza e l’uso della lingua italiana. Patrizio Bianchi, ministro della PI del governo Draghi, di area PD, auspicò una ampia adesione delle scuole e delle famiglie all’ipotesi di inserire lo studio facoltativo del latino nei PTOF delle scuole medie.
Ora il PD spara a zero sulla analoga proposta dell’attuale ministro Valditara, presentandola come una mera regressione nostalgica. Certo, servirebbe una misura strutturale, accompagnata da una adeguata formazione dei docenti di lettere, e anche risolvere il problema (posto da Marchesi ma anche, prima di lui, da Gramsci) se lo studio del latino, ritenuto utile per la formazione critica dei cittadini, debba a questo punto diventare obbligatorio per tutti. Se ne discute.
Restano alcuni aspetti che forse appariranno prosaici. Attualmente nella scuola secondaria di I grado non vi sono docenti che possono insegnare latino (e forse nemmeno lo conoscono). Per insegnarlo nella scuola media, occorrerebbe attingere alle graduatorie delle classi di concorso A011 e A013 del secondo grado: una trasversalità di utilizzo non facile da realizzare. In quale orario? Non essendo un insegnamento curriculare, il latino dovrebbe essere insegnato in orario extrascolastico, pomeridiano: una complicazione organizzativa per le famiglie e per le scuole, ancora da sciogliere.
M
Maturità (settembre) – Il Decreto-Legge 127/2025, poi convertito nella Legge n. 164 del 30 ottobre 2025, introduce cambiamenti significativi nell’esame di maturità (che torna a chiamarsi così) a partire dal 2026.
Le novità riguardano, soprattutto, la prova orale (vedi l’approfondimento alla voce “orale”), più personalizzata e limitata a 4 materie, indicate dal Ministero a gennaio di ciascun anno, e la composizione delle commissioni, che si riducono a cinque componenti per classe: il Presidente esterno, 2 esterni e 2 interni).
Il credito scolastico massimo resta di 40 punti. Fino a 20 punti per ciascuna delle due prove scritte. Fino a 3 punti in più (Bonus merito) per chi raggiunge almeno 90/100 tra credito e prove.
Il percorso 4+2 (4 anni negli Istituti tecnici e professionali con ammissione all’esame di maturità + 2 ITS Academy) diventa strutturale.
Mense (agosto): Il Portale unico del MIM nei dati dell’edilizia scolastica relativi al 2023-24 riporta la situazione relativa ai locali adibiti a diversi servizi nelle scuole statali, tra cui, in primis, anche quelli delle mense e palestre. In questi ultimissimi anni, grazie anche alle risorse del PNRR, vi sono stati interventi finanziari per potenziare alcuni servizi importanti per le scuole dell’infanzia e della primaria.
Le mense costituiscono un servizio necessario per favorire sia l’espansione del tempo pieno nella scuola primaria sia il superamento del servizio nella sola fascia antimeridiana nella scuola dell’infanzia.
È opportuno, comunque, precisare che in questi casi specifici non ci si riferisce ai servizi di mensa o di educazione motoria, bensì ai locali appositamente predisposti per accogliere tali servizi. Ad esempio, quando si parla di mensa nella scuola dell’infanzia, dove il 90% delle scuole svolge orario continuato dal mattino al pomeriggio, non ci riferisce al servizio che consente ai bambini di consumare il pasto a scuola (a volte in spazi impropri adattati), bensì al refettorio, il locale opportunamente predisposto per consumare il pasto.
I dati dell’edilizia scolastica pubblicati sul Portale unico del Ministero si riferiscono, infatti, ai locali (refettori e palestre) anziché ai servizi (la fruizione della mensa e attività motoria).
Va precisato che le mense (refettori) sono locali presenti nelle scuole dell’infanzia e primarie, mentre le palestre sono locali presenti soprattutto nelle scuole e istituti della secondaria.
Il Portale, aggiornato per l’edilizia al 2023-24, pubblica questi dati relativi a 39.993 edifici scolastici: Mense (refettori): ne sono provvisti 14.260 edifici (35,7%); nella rilevazione del 2022-23 (ultima pubblicata) la percentuale era stata del 34,5%.
N
Nuove Indicazioni Nazionali (gennaio – dicembre): il 9 dicembre il ministro Valditara firma il testo definitivo delle nuove “Indicazioni Nazionali della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione”, in attesa della registrazione da parte degli organi di controllo, con previsione della loro entrata in vigore dal prossimo anno scolastico.
Si conclude in questo modo il percorso tribolato delle “nuove” Indicazioni, contrassegnato da forti critiche da parte di molti addetti ai lavori e scarsi consensi, misti a un apparente disinteresse da parte di un’ampia parte del mondo scolastico.
Le Indicazioni si considerano nuove, perché sostituiscono e innovano quelle del 2012, ma molti critici le considerano un sostanziale ritorno al passato.
Un primo momento istituzionale critico si registra con il parere del CSPI del 27 giugno che evidenzia criticità e proposte di modifica per un approccio più inclusivo e concreto nel processo educativo. Ma il punto di maggior difficoltà del percorso di approvazione si registra da parte del Consiglio di Stato che il 17 settembre sospende il parere rinviando al MIM il testo con una lunga serie di osservazioni e richieste di modifica o integrazione.
Il nuovo testo, emendato, integrato e corredato di allegati richiesti, viene inviato nuovamente al CdS che il 12 novembre evidenzia una serie di precisazioni ed esprime parere favorevole, nei limiti di cui in motivazione.
Si tratta di un parere favorevole quasi con riserva; tuttavia, il ministro Valditara nel firmare il testo definitivo ha, comunque, dichiarato soddisfatto “Dal prossimo anno scolastico vi sarà il ritorno della centralità della storia occidentale, la valorizzazione della nostra identità, la riscoperta dei classici che hanno contraddistinto la nostra civiltà”.
Dal mondo degli insegnanti, primi destinatari delle Indicazioni, non si registrano per ora molti segnali di gradimento, mentre le loro associazioni e anche i sindacati di categoria hanno confermato criticità e presa di distanza, lasciando intendere che a settembre l’attuazione delle “nuove” Indicazioni potrebbe essere piuttosto passiva. Intanto si discute sul livello di prescrittività delle Indicazioni. A partire da settembre 2026 si capirà quale sarà l’impatto.
O
Orale (settembre) – Il Decreto Legge 127/2025, poi convertito nella Legge n. 164 del 30 ottobre 2025, ha profondamente modificato la prova orale dell’esame di maturità rispetto alla disciplina precedente perché il colloquio non parte più dall’elaborato multidisciplinare fornito dalla commissione (un testo, un problema, un progetto ecc.), che suggeriva al candidato un filo conduttore tra le materie, ma da un argomento liberamente scelto dell’esaminando, da collegare alle varie discipline, inclusa l’Educazione Civica.
La ratio della norma è di valorizzare l’autonomia, l’assunzione di responsabilità, la crescita personale del candidato valutandone le competenze trasversali, oltre a quelle disciplinari nelle quattro discipline indicate annualmente dal Ministero.
Per questo la prova orale, obbligatoria (chi non la sosterrà sarà bocciato), si estenderà alle esperienze di formazione-lavoro (ex PCTO) e potrà comprendere anche le attività registrate nel curriculum individuale dello studente. Nel complesso, la nuova maturità appare più personalizzata rispetto al modello precedente, per non parlare dell’originario modello gentiliano.
P
Papa Francesco (aprile): il pensiero pedagogico di Papa Francesco – che ci ha lasciato ad aprile – resta una presenza costante nel dibattito educativo, ben oltre l’ambito confessionale. Quella di Papa Francesco non è una pedagogia “per addetti ai lavori”, ma una visione educativa globale, fondata su alcuni assi ricorrenti:
- centralità della persona, soprattutto dei più fragili;
- educazione come relazione, non come mera trasmissione di contenuti;
- scuola come comunità, non come somma di prestazioni individuali;
- conoscenza legata alla responsabilità, non neutra, ma orientata al bene comune.
Nel 2025 queste categorie risuonano in modo particolare nelle scuole attraversate da disuguaglianze crescenti, dispersione implicita, fragilità relazionali. La pedagogia di Papa Francesco verte su che cosa significhi davvero “includere”, andando oltre l’adempimento formale e chiedendo un cambiamento di sguardo. Un punto centrale è il richiamo costante al “patto educativo globale”: l’educazione non può essere delegata solo alla scuola, ma la scuola resta il luogo in cui le fratture sociali diventano visibili e, talvolta, sanabili.
In questa prospettiva, la scuola del 2025 appare spesso in affanno non perché manchino norme o indicazioni, ma perché fatica a trovare tempo, risorse e riconoscimento per svolgere quella funzione educativa integrale che la pedagogia di Papa Francesco richiama con forza: formare persone capaci di pensiero critico, responsabilità e cura dell’altro. “Amate gli allievi più difficili…”
Paritarie (dicembre): due forze della maggioranza di centro-destra – Noi Moderati e la Lega – hanno promosso i due emendamenti alla Legge di Bilancio che hanno fatto fare un concreto passo avanti alla prospettiva della parità anche economica degli istituti paritari. Il primo, presentato da Mariastella Gelmini di Noi Moderati, dispone un contributo, fino a 1.500 euro a studente, per le famiglie con Isee inferiore a 30mila euro che iscrivono i figli alle scuole paritarie fino al primo biennio delle superiori; il secondo, presentato dalla Lega, prevede l’esonero dall’IMU per gli istituti non statali che non svolgono attività commerciale. Norme che favoriscono un più agevole accesso delle famiglie meno abbienti alle scuole paritarie, e certo non ai diplomifici.
Il plafond è limitato (20 milioni di euro), e potrà soddisfare solo una parte degli alunni potenzialmente interessati, ma viene giudicato positivamente dai sostenitori della parità, sia pure con gradazioni diverse: di un “passo importante per consentire anche alle famiglie non abbienti di poter esercitare il diritto di scelta educativa” parla il ministro MIM, Giuseppe Valditara. Di “segnale” e “piccolo passo in avanti”, parla anche la presidente nazionale della Fidae, Virginia Kaladich, mentre molto più soddisfatti appaiono le associazioni cattoliche come Articolo 26, Pro Vita Famiglia e Moige, e soprattutto suor Anna Monia Alfieri, pur da sempre paladina della parità completa, per la quale si compie una “enorme passo in avanti verso la piena garanzia del diritto alla libertà di scelta educativa, un diritto inserito nella nostra Costituzione”.
Soddisfazione esprimono anche le Associazioni di gestori e genitori di scuole paritarie cattoliche e d’ispirazione cristiana – AGeSC, Cdo Opere Educative-FOE, CIOFS scuola, FAES, FIDAE, FISM, Fondazione Gesuiti Educazione, Salesiani Don Bosco Italia, CNOS Scuola Italia, – aderenti a “Agorà della parità”, che in un comunicato “registrano con favore i passi avanti che la Legge di bilancio 2026 segna verso l’obiettivo della libertà di scelta educativa e del crescente riconoscimento della scuola paritaria come servizio pubblico indispensabile per il Paese”, anche se poi aggiungono di essere “consapevoli che la strada da fare per il pieno compimento della libertà di scelta educativa sia ancora lunga”.
Q
Quattro più due (settembre): dopo una prima fase sperimentale, dall’anno scolastico 2025-2026 il percorso cosiddetto “4+2” – quattro anni negli istituti tecnici e professionali con ammissione al diploma di maturità più due negli Istituti Tecnici Superiori, diventati ITS Academy nel 2022 – è diventato un modello ordinamentale strutturale a seguito dell’approvazione della Legge quadro 121 dell’8 agosto 2024, istitutiva della “filiera tecnico-professionale”, e dei “campus” per connettere sul territorio Istituti Tecnici, Professionali, ITS e centri di formazione.
Il percorso, della durata complessiva di sei anni, è stato progettato con l’obiettivo di formare figure professionali altamente specializzate, fortemente connesse al mondo del lavoro, e già nella fase sperimentale ha mostrato di poter garantire elevati tassi di occupazione per i diplomati, in media 84% con punte fino al 95% a un anno dal conseguimento del diploma. I tassi di iscrizione al 4+2 restano tuttavia bassi, malgrado il forte sostegno del ministro Valditara, mentre resta aperta la questione della riforma dei percorsi quinquennali, considerata da alcuni autorevoli esperti (qui l’intervista all’ing. Valerio Ricciardelli) fondamentali per il rilancio dell’economia italiana soprattutto nel settore manifatturiero.
R
Rappresentatività sindacale (novembre): chi sale e chi scende – La pubblicazione definitiva dei nuovi dati per la rappresentatività nel comparto istruzione e ricerca del personale docente e ATA, pubblicati dall’ARAN per il triennio 2025-2027, consente di rilevare la situazione dei sei sindacati che hanno raggiunto e superato la soglia del 5% che consente di legittimare il diritto esclusivo di partecipazione alla contrattazione collettiva del comparto (CCNL e CCNI), nonché alla fruizione di distacchi e permessi sindacali in proporzione al tasso di rappresentatività.
Per valutare le variazioni intervenute dal precedente triennio 2022-2024 al nuovo del 2025-2027, Tuttoscuola ha messo a confronto i dati ufficiali dei due trienni per i sei sindacati rappresentativi.
Il primo dato significativo è dato dal sorpasso al primo posto della Flc-Cgil sulla Cisl Scuola per quasi mezzo punto in percentuale (23,83% contro il 23,25%) che ha invertito la situazione del triennio precedente (Cisl Scuola al 24,06% e Flc-Cgil al 23,88%). La Cisl resta il sindacato di gran lunga con più deleghe, cioè quello che riceve la fiducia di chi si iscrive al sindacato, mettendo mano alla propria busta paga, e anzi ha consolidato questo vantaggio in termini assoluti (+27 mila deleghe rispetto a Flc-Cgil, +56 mila verso la Uil Scuola, che pure ha fatto un grosso balzo, +85 mila rispetto allo Snals, etc). Tutti i grandi sindacati comunque hanno incrementato le tessere, beneficiando dell’incremento complessivo di 84 mila deleghe.
L’Uil Scuola è il sindacato che ha registrato il maggior aumento di deleghe (20.382) e un notevole incremento di voti (10.551), ottenendo una significativa percentuale di rappresentatività del 17,22% (migliore di 0,80 punti in percentuale di quella precedente).
Snals e Gilda, soprattutto a causa di un minor consenso elettorale, registrano un decremento del tasso di rappresentatività rispettivamente dello 0,70% (SNALS) e dello 0,11% (Gilda).
A far registrare, comunque, il maggior incremento del tasso di rappresentatività è stato l’Anief (+1,52%), passato dal 6,68% del triennio precedente all’8,20% di quello attuale. L’Anief ha avuto anche un exploit di oltre 20mila voti in più per le RSU, un incremento pari a quello di FLC Cgil-scuola e Uil-scuola messi insieme.
Tra i dirigenti scolastici l’ANP ancora una volta primeggia con 4.648 deleghe (44,12% sul totale deleghe), registrando un aumento di 244 deleghe, rispetto al triennio 2022-24 (incremento di 1,32 punti percentuali). E’ sempre di più il sindacato largamente più rappresentativo della categoria.
È da sottolineare il sensibile aumento di deleghe di DIRIGENTISCUOLA con un incremento di 147 deleghe che valgono l’11,29% d rappresentatività. Anche la Cisl Scuola cresce (da 1.474 a 1.516 deleghe che valgono il 14,39% di rappresentatività).
La sorpresa viene dal sensibile decremento del numero di deleghe del FLC-CGIL (171 in meno rispetto al 2022-24) che scende dalle 1.552 a 1.381.
S
Stranieri (settembre): Se il numero degli alunni stranieri aumenta e quello degli italiani diminuisce – Il presidente Mattarella, nell’onorare a Colleferro Willy Monteiro Duarte, il giovane ucciso cinque anni fa per difendere un amico, ha ricordato il suo coraggio, evidenziando anche, in particolare, che “Willy è un italiano esemplare e per questo è stato insignito alla memoria della medaglia d’oro al valor civile”.
Il presidente ha voluto sottolineare non solo il coraggio, ma anche l’italianità di Willy (era nato a Roma da genitori originari di Capo Verde), una sottolineatura di evidente rilevanza in una società, come la nostra, che sembra restia ad accettare l’integrazione.
Eppure, a scuola il numero di alunni stranieri tende ogni anno ad aumentare mentre il numero degli italiani tende a diminuire, contribuendo, di fatto, a determinare in modo ormai strutturale una società multietnica.
Basta mettere a confronto i dati ufficiali complessivi degli alunni delle scuole statali e paritarie, registrati sul Portale Unico dell’anno 2018-19 con quelli di cinque anni dopo (2023-24) per rilevare l’incremento di 85.802 alunni stranieri (da 825.182 del 18-19 a 910.984 del 23-24), corrispondente a un più 10,40%; nello stesso periodo il numero degli alunni italiani è sceso da 7.501.231 a 6.914.409, corrispondente a un decremento di 586.822 unità (- 7,82%).
Per quanto riguarda nello specifico gli alunni delle scuole statali, nel quinquennio considerato si è registrato l’aumento di 80.375 alunni stranieri (da 765.846 del 18-19 a 846.221 del 23-24) corrispondente a un +10,5%; contemporaneamente nel medesimo periodo il numero degli alunni italiani è sceso da 6.745.030 del 18-19 a 6.207.263 del 23-24 con un decremento di oltre mezzo milione (537.767).
Se si scorrono i dati registrati nel Portale dal 2015-16, si può rilevare che il numero degli stranieri è in aumento costante, mentre quello degli italiani procede in senso opposto.
Si tratta di due tendenze contrapposte che prefigurano per i prossimi anni una modifica strutturale del settore, con accentuazione della natura multietnica della società italiana che sollecita il mondo politico a sciogliere il nodo della cittadinanza da conferire ai giovani stranieri.
T
Tuttoscuola compie 50 anni (dicembre) – Il primo numero della rivista Tuttoscuola, fondata da Alfredo Vinciguerra, uscì nelle edicole nel mese di dicembre 1975, con periodicità inizialmente quindicinale, e si presentò subito come una novità assoluta nel panorama delle riviste scolastiche italiane per il suo taglio nello stesso tempo giornalistico e rigoroso, e l’ambizione di rappresentare le esigenze di rinegoziazione del rapporto tra scuola e società espresse dai “decreti delegati” per eccellenza, quelli varati in attuazione della legge delega del 1973, per iniziativa dell’allora ministro della PI Franco Maria Malfatti, finalizzati all’introduzione della gestione sociale e collegiale della scuola.
Da allora Tuttoscuola ha seguito da vicino, e sempre con l’obiettivo di spiegarne le ragioni profonde, le diverse fasi evolutive del sistema scolastico italiano: quella partecipativa degli anni Settanta; quella riformistica, tra successi e fallimenti, degli anni Ottanta; quella dell’autonomia delle scuole; le riforme complessive dell’intero sistema scolastico del centro-sinistra (i “cicli” di Berlinguer) e del centro-destra (la riforma Moratti), il complicato alternarsi di governi tecnici e politici seguiti al tramonto della formula governativa berlusconiana (2011), la meteora Renzi, la ventata populista del Movimento 5 Stelle, fino al governo di unità nazionale di Mario Draghi e all’avvento al governo dello schieramento neoconservatore guidato da Giorgia Meloni e, per quanto riguarda la scuola, da Giuseppe Valditara.
Nell’arco dei 50 anni della sua attività, Tuttoscuola ha affiancato alla storica rivista a stampa, diventata mensile, una serie di strumenti di informazione:
– Il portale tuttoscuola.com, con un notiziario quotidiano e un archivio di quasi 50.000 notizie.
– Le newsletter settimanali TuttoscuolaFOCUS e TuttoscuolaNEWS a partire dal 25 giugno 2001.
– Una vasta gamma di webinar di informazione e formazione, iniziale e continua, del personale scolastico.
– Una serie di rapporti e dossier rigorosamente documentati sulla qualità della scuola italiana, spesso ripresi dalla stampa nazionale.
E poi dal 2015 la formazione. Dal 2019 Tuttoscuola è ente accreditato dal Ministero dell’istruzione per la formazione del personale della scuola.
Tra le molte iniziative legate alla celebrazione dei 50 anni di Tuttoscuola particolarmente significativa è stata quella organizzata il 13 marzo 2025 presso l’Istituto Alberghiero “Buontalenti” di Firenze.
Testo Unico (novembre): la normativa scolastica in cerca di aggiornamento, una storia infinita – Trent’anni fa, dopo un laborioso e complesso lavoro di controllo di migliaia di leggi emanate in oltre un secolo dell’Italia unitaria, vedeva la luce nel 1994 il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione (decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297) che riordinava le disposizioni legislative emanate, definendo finalmente un quadro normativo chiaro e accessibile.
Ma l’intensa attività legislativa degli anni successivi, tra abrogazioni, integrazioni e nuove disposizioni emanate dal Parlamento, rendeva il Testo Unico modificato, tanto da richiederne una nuova revisione.
Oltre vent’anni dopo la pubblicava del Testo Unico, la legge 107/2015, cosiddetta “Buona Scuola” poneva mano alla necessaria revisione, prevedendo, tra le norme delegate, la sua revisione. Tuttavia, dopo i 18 mesi previsti per la pubblicazione con un’ulteriore proroga, l’unico decreto legislativo non emanato nell’aprile 2017 tra i sette previsti dalla legge 107, era stato proprio quello del Testo Unico.
Ora, a distanza di oltre trent’anni, le modifiche normative del Testo Unico accumulate dal 1994 sono pressoché raddoppiate, generando notevoli difficoltà nell’accesso a un quadro normativo diventato complesso per tutti.
Ancora una volta il Parlamento ci riprova.
Nella legge 167/2025, Misure per la semplificazione normativa e il miglioramento della qualità della normazione e deleghe al Governo per la semplificazione, il riordino e il riassetto in determinate materie, entrata in vigore da pochi giorni, l’articolo 15 prevede delega al Governo in materia di istruzione, per adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge (cioè, entro fine maggio 2027), “uno o più decreti legislativi per la semplificazione, il riordino e il riassetto delle disposizioni legislative nelle materie di competenza del Ministero dell’istruzione e del merito, tra cui: unificazione e razionalizzazione delle discipline di livello primario afferenti alle materie di competenza del Ministero dell’istruzione e del merito in un testo unico delle disposizioni legislative ovvero in più testi unici distinti per ambito di competenza”.
Sarà la volta buona? Ma nel frattempo nuove disposizioni potrebbero rendere il Testo Unico obsoleto, come una storia senza fine.
U
Una tantum (dicembre): Sotto l’albero di Natale arriva all’ultimo momento la sottoscrizione del CCNL 2022-24 per il comparto Istruzione e Ricerca relativo al triennio 2022-2024. Non sottoscrive il CCNL la FLC – CGIL, confermando la non sottoscrizione dell’ipotesi di contratto, come avvenuto il 5 novembre 2025.
Questo il comunicato dell’ARAN del 23 dicembre 2025: “Le parti, nell’intento di garantire una rapida erogazione degli incrementi retributivi attesi dal personale e preso atto dell’avvenuta trasmissione dell’atto di indirizzo quadro per il triennio contrattuale 2025-2027, hanno convenuto di limitare questa tornata negoziale alle sole materie del trattamento economico e delle relazioni sindacali. La revisione e l’eventuale aggiornamento degli altri istituti normativi sarà affrontata in occasione della successiva negoziazione relativa al triennio 2025-2027. Il CCNL prevede per il personale del comparto aumenti retributivi medi mensili pari a 144 euro per il personale docente e a 105 euro per il personale ATA, oltre alla corresponsione, a titolo di arretrati e una tantum, di 1.640 euro per i docenti e di 1.400 euro per il personale ATA. Gli incrementi contrattuali medi mensili riguardano anche il personale delle università, degli enti di ricerca e delle istituzioni AFAM, secondo le specifiche delle tabelle contenute nel testo contrattuale. In particolare: università euro 141; enti di ricerca euro 211; AFAM euro 173”.
V
Valditara (gennaio-dicembre) – Nel 2025 l’attività del ministro Giuseppe Valditara è stata nel complesso assai rilevante, e ha toccato tutti i principali aspetti della realtà scolastica, realizzando diverse importanti riforme, che possiamo così elencare principalmente (per approfondimenti si vedano le singole voci di riferimento):
– Revisione delle Indicazioni Nazionali per le scuole del primo ciclo (infanzia, primaria e secondaria di primo grado), firmate nella versione definitiva il 9 dicembre 2025.
– Riforma dell’ordinamento dell’istruzione tecnica e professionale con l’introduzione, accanto ai percorsi quinquennali, del modello cosiddetto 4+2 (quattro anni di scuola negli IT e IP seguiti da due anni di specializzazione negli ITS Academy (Istituti Tecnici Superiori).
– Riforma dell’esame di Stato conclusivo degli studi secondari, che torna a chiamarsi esame di maturità, in direzione di una maggiore personalizzazione.
– Riforma delle norme sul comportamento e del voto di condotta, la cui valutazione se inferiore a 6 determina la bocciatura, e col 6 comporta un elaborato su cittadinanza attiva; invece della sospensione sono previste attività di recupero come lavori socialmente utili presso enti convenzionati. Per i maggiorenni che aggrediscono insegnanti, previsti arresto e reclusione.
– Tecnologie: divieto di uso dello smartphone in classe, ma anche avvio di sperimentazioni sull’impiego dell’Intelligenza Artificiale e piano di formazione di docenti e studenti all’uso della IA, da usare come supporto didattico.
Bilancio politico: il 2025 è stato per Valditara un anno di verifica e primo collaudo operativo di alcune sue convinzioni di ispirazione neoconservatrice: la valorizzazione delle radici giudaico-cristiane e “occidentali”, oltre che nazionali, del modello educativo italiano; una offerta formativa più articolata e l’avvio (per ora timido) di una didattica più personalizzata; il ripristino del rispetto e dell’autorità dei docenti. Poco o nulla al momento, invece, per quanto riguarda la carriera degli insegnanti, come sempre ancorata all’anzianità di servizio e all’unicità della funzione docente, e poco anche per una efficace formazione in servizio (molto, in termini quantitativi, si è fatto con il Pnrr, e si potrebbe discutere delle modalità imposte e della qualità media. Ma al momento le scuole non hanno i fondi per la formazione, che invece deve essere un processo continuo: “obbligatoria, permanente e strutturale” dice la legge: con quali fondi?). Si è così concluso il primo triennio dell’incarico alla Minerva. Un arco di tempo che non molti predecessori hanno avuto, e che sembra potersi prolungare per l’intera durata della legislatura. Una stagione connotata anche da una certa stabilità politica (la maggioranza in Parlamento è ampia) e spinta dagli investimenti straordinari del PNRR. Condizioni insomma in generale favorevoli, almeno nella comparazione con altri ministri (a Viale Trastevere se ne sono alternati ben 27 negli ultimi 50 anni), per realizzare un programma politico sull’istruzione. Solo a fine mandato si potrà tracciare un bilancio complessivo.
Valutazione dei dirigenti scolastici (aprile-novembre): Il 2025 segna un passaggio simbolico e operativo: la valutazione dei dirigenti scolastici entra finalmente nella fase applicativa, dopo anni di annunci, rinvii, sperimentazioni mancate e dibattiti spesso più ideologici che tecnici. Non si tratta semplicemente di introdurre uno strumento, ma di misurarsi con una questione delicata: come valutare una funzione che è insieme educativa, organizzativa, amministrativa e relazionale, e che opera in contesti profondamente diversi tra loro.
La prima applicazione ha mostrato subito luci e ombre. Da un lato, per la prima volta, la valutazione ha assunto una struttura riconoscibile: obiettivi assegnati, indicatori, nuclei di valutazione, fasi definite. Un passo avanti rispetto a una lunga stagione di totale assenza di feedback strutturato sul lavoro dei dirigenti. Dall’altro lato sono emerse criticità non marginali:
- tempi compressi, che hanno ridotto la valutazione a un adempimento più che a un processo riflessivo;
- indicatori percepiti come poco aderenti alla complessità del lavoro reale dei dirigenti;
- una forte sensazione, in molte scuole, che la valutazione misurasse più la conformità procedurale che la qualità della leadership educativa.
Molti dirigenti hanno vissuto questa prima applicazione con un misto di attesa e diffidenza: non tanto per il principio della valutazione in sé – che Tuttoscuola ha sempre considerato legittimo – quanto per il rischio di una valutazione scollegata dai contesti e poco utile al miglioramento.
Nel 2025 è diventato evidente che la valutazione dei dirigenti non è solo una questione di griglie o punteggi, ma di idea di scuola.
Il 2025, più che un punto di arrivo, appare quindi come un anno zero.
Dalle analisi di Tuttoscuola emergono alcune prospettive possibili:
- spostare la valutazione da logica sanzionatoria o premiale a logica formativa e di accompagnamento;
- rafforzare il ruolo dei nuclei di valutazione come spazi di lettura qualitativa, non solo di verifica documentale;
- collegare la valutazione dei dirigenti ai processi reali di miglioramento delle scuole, e non a obiettivi astratti o uniformi.
In questa prospettiva, la valutazione potrebbe diventare uno strumento di crescita professionale e di rafforzamento dell’autonomia, anziché un ulteriore carico percepito come esterno e distante.
Vietati i cellulari a scuola (giugno – novembre): Il ministro Valditara ha ribadito la sua posizione fermamente contraria all’uso dei cellulari a scuola, arrivando a proporre il divieto anche durante la ricreazione. Il tema, discusso il 19 novembre durante il Salone dello Studente di Roma, è stato al centro di un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, dove il ministro ha sottolineato come l’utilizzo precoce e intensivo degli smartphone possa avere effetti negativi sulla performance scolastica, lo sviluppo psico-emotivo e la dipendenza.
“Non solo in classe, ma anche durante l’intervallo è necessario evitare l’uso dei cellulari”, ha dichiarato Valditara, ribadendo che il recupero della socialità tra gli studenti è fondamentale per la loro crescita. “Gli studi sono concordi: l’uso degli smartphone riduce i rendimenti scolastici, compromette lo sviluppo e crea dipendenza. Un genitore che proibisce l’uso del cellulare è un atto di amore”, ha aggiunto il ministro, mettendo in evidenza i rischi legati alla navigazione online.
La circolare ministeriale, emessa lo scorso giugno ed entrata in vigore dal 1° settembre 2025, vieta l’uso degli smartphone durante l’orario scolastico, ma lascia alle singole scuole la possibilità di adattare le proprie regole. Questo ha spinto diversi istituti a rivedere i propri regolamenti, con alcune scuole che, già in linea con le indicazioni ministeriali, hanno esteso il divieto anche alla ricreazione.
Se il divieto di cellulari nelle scuole può sembrare una misura punitiva, l’intento del ministro è quello di promuovere un cambiamento culturale, puntando a un modello educativo che riduca la dipendenza dalla tecnologia e favorisce la socializzazione tra gli studenti. Secondo Valditara, l’educazione deve andare oltre il mero utilizzo di dispositivi tecnologici, riscoprendo l’importanza della comunicazione faccia a faccia e dell’interazione personale.
Anche se il divieto di cellulare è stato recepito con entusiasmo in alcune scuole, non mancano le criticità. Molti studenti e genitori si chiedono quanto questa misura possa effettivamente migliorare l’esperienza scolastica e se non rischi di creare un vuoto digitale difficile da colmare, soprattutto in un contesto dove le tecnologie stanno giocando un ruolo sempre più importante nell’apprendimento
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