Gli Italiani si riconoscono. Anche a mensa

Questo episodio ce lo hanno raccontato alcuni amici in vacanza all’estero, ma forse tanti altri potrebbero avere avuto esperienze analoghe.
Siamo all’estero, supponiamo in Slovenia.
Nell’albergo è in funzione un self service per il pranzo.
I nostri amici, che lavorano nel mondo della scuola, guardano compiaciuti i numerosi bambini, stranieri (tedeschi, sloveni, inglesi, svedesi) e di varia età, che da soli, vassoio alla mano, si avvicinano al banco dei piatti, scelgono, si servono autonomamente e vanno al tavolo senza difficoltà. E i genitori, non necessariamente vicini ai piccoli, non intervengono, ovviamente.
L’attenzione dei nostri amici viene richiamata da un padre con tanto di figlioletto al seguito, italiano, che si avvicina al banco, colloca di peso il bimbetto su una sedia vicina, spalle ai piatti, e pronuncia ad alta voce: “Stai buono e fermo lì: ci penso io”.
Il bimbo, sempre spalle al banco, chiede con insistenza di conoscere le scelte del padre: “Che mi prendi? Cosa c’è?”, e viene zittito perentoriamente dal padre.
I piatti per il figlio vengono scelti mentre, tra i due, si incrociano richieste e rimproveri. A voce alta, ovviamente. E, altrettanto ovviamente, poco dopo, davanti alle scelte del padre, il figlio frigna, protesta, scalpita con sonori “Io non lo voglio, io non lo mangio”.
I nostri amici, esterrefatti (come molti dei presenti, stranieri), decidono di mimetizzarsi e di non parlare italiano.
Un caso? Non crediamo. È certamente una spia, come mille altre, di un livello deteriorato di rapporto educativo, di malintesa protezione dei figli, che limita, inibisce, non aiuta l’autonomia di cui, in tempi di “personalizzazione”, i ragazzi avrebbero tanto bisogno.