Gestione casi Covid: i problemi della scuola raccontati da una preside

Di Anna Maria De Luca

Scuole nel caos per via della nuova gestione dei casi Covid. La quarantena e la consecutiva DaD per la classe, dovrebbe partire solo al 3 caso positivo accertato. Eppure tanti presidi e tantissime famiglie in questi giorni lamentano contatti tardivi e faticosi con i DpD e isolamenti preventivi di bambini e ragazzi che partirebbero dal primo caso accertato di Covid in classe, sia esso un alunno o un docente, mettendo in crisi scuole e genitori. Ma come stanno davvero le cose? Tuttoscuola vi racconta cosa succede concretamente quando si verifica un caso di Covid in un istituto scolastico. È la cronaca vera di cosa sta vivendo una dirigente scolastica di un piccolo centro del Sud.

Squilla il cellulare (a qualsiasi ora del giorno o della notte) . “Dirigente, un alunno/a è risultato/a positivo/a al Covid”. All’altro capo del telefono c’è, nella migliore delle ipotesi, il referente Covid della scuola, il che significa che la notizia è vera. In alternativa, può esserci una docente in ansia che ha ricevuto la notizia via tam tam da qualche mamma. O anche un genitore che per vie traverse ha intercettato qualche voce.

Prima cosa: individuare di quale plesso (tra decine di edifici scolastici) stiamo parlando per calcolare al volo la portata numerica del problema. E in contemporanea, verificare, nei due ultimi casi, che la notizia sia fondata “sguinzagliando” il responsabile Covid per risalire alla mamma o al papà del presunto positivo. Ma con cautela: si tratta di dati sensibili e spesso la positività si riferisce al risultato di tamponi privati (che, lo scorso anno, per un certo periodo non abbiamo potuto considerare validi perché solo quelli dell’ASP, in un primo tempo, erano considerati tali). Nel frattempo che parte l’indagine, la voce si spande e arrivano sul cellulare della preside che stiamo seguendo tra le 15 e le 20 telefonate di docenti e genitori allarmati alla ricerca del “possibile contagioso”. 

Perché è complicato, per la scuola, capire chi è il positivo? Perché non sempre i genitori comunicano per le vie ufficiali la positività dei figli. Alcuni lo dicono ai vicini di casa, ai parenti, i più illuminati telefonano alla docente che sentono più vicina e che, a sua volta, chiama il responsabile Covid che chiama me. Altri se lo tengono per sé, per paura dello stigma sociale. Se qualche genitore comunica la positività direttamente alla segreteria o al responsabile Covid siamo più che a cavallo.

Seconda fase. La notizia è vera. A questo punto la nostra DS deve chiamare l’Asp e il sindaco. E qua si apre un mondo. Chiamare l’Asp significa telefonare sul cellulare di uno o più medici che si occupano di quarantene per avvisare del caso (il numero degli uffici è sempre un optional di poco successo) e capire a chi di loro sarà assegnato. In questi mesi ormai la dirigente scolastica ha raccolto nell’agenda i numeri di tutti loro, si sono sentiti decine di volte al giorno. Ormai conosce la procedura a memoria. “Un altro? Siamo pieni di quarantene, siamo in pochi e stiamo lavorando giorno e notte, mandateci l’elenco dei contatti diretti e appena possibile faremo le ordinanze di quarantena. Nel frattempo dite loro di stare a casa”.

Fino a qualche tempo fa “dite loro di stare a casa” significava dire, da DS, ai genitori ed i docenti “state a casa, ma posso dirvelo solo a voce perché, in assenza di ordinanza, non posso scrivervi di farlo”. Ora, con le nuove norme, i presidi possono metterlo per iscritto anche prima che l’Asp riesca a trovare il tempo di fare l’ordinanza. Secondo step: avvisare il sindaco. E anche qua si apre un mondo. Se è domenica o se sono le 19 di sera, negli uffici comunali non c’è più nessuno quindi bisogna chiamarlo sul cellulare, o quantomeno con un WhatsApp, per metterlo in guardia e dirgli di avvisare il funzionario in questione sulla necessità di scrivere le ordinanze di quarantena, che saranno appunto firmate dal sindaco, anche in piena notte, appena arriverà nella pec del Comune il documento dall’ASP, qualunque ora sia.

E fino a qua è ancora tutto fermo. Il  documento dell’ASP non arriverà mai al Comune se prima non riceverà dalla scuola il tracciamento. Entra in gioco quindi la segreteria. La DS deve pregare il DSGA o chi per lui di andare a riaprire la scuola (i genitori fanno i tamponi al mattino ma è difficile che la notizia ci arrivi prima delle 17) per mandare all’Asp l’elenco dei contatti diretti intrattenuti dal positivo. E qui si riaggroviglia la matassa.

Non basta di certo mandare l’elenco dei compagni di classe del positivo e dei suoi docenti. Troppo facile! Bisogna chiamare i docenti di quella classe per capire qual è stato l’ultimo contatto di ogni ragazzo e di ogni docente con il positivo, calcolando quindi le assenze di ognuno, incrociandole con le presenze del positivo e di eventuali supplenti esterni, sostituzioni interne, educatori che sono entrati in quella classe 

 “Sto al supermercato, appena torno a casa controllo sul registro elettronico”, “sto guidando, dopo ti dico” ecc. I docenti vengono colti all’improvviso dalla richiesta, nel bel mezzo della loro vita privata. Quando finalmente abbiamo la lista di tutti i contatti – e, voglio ricordarlo, la definizione di contatto è più o meno fantasiosamente variata nei mesi, sia per i tempi che per il numero di persone da coinvolgere – la segreteria, esausta dopo questo lavoro di investigazione, manda la mail all’Asp. 

E qua si apre un altro capitolo. Tocca alla preside chiamare l’Asp per avvisare dell’arrivo della mail. “Questo caso lo ha preso in carico il collega, io ne ho troppi, chiami lui”. Chiamo sul cellulare dell’altro medico. “Sì, ora cerco la vostra mail… Dove sta… Dove sta… Eccola… Ma no, voi avete inviato elenco in Excel, io lo voglio in Word. È la mia collega che lavora in Excel, non io”.

Richiamo la segreteria. Quel povero uomo che è appena andato a casa deve tornare a scuola per mandare l’elenco nell’altro formato. Se è in vena di santità ritorna, se no lo si fa l’indomani. E quindi mi tocca chiamare il sindaco di nuovo per dire di smobilitare l’attesa e che se parla domani. 

L’elenco arriva di nuovo all’Asp. Altra telefonata sul cellulare del medico per avvisare della pec. “Aprite la posta per favore”. Se non c’è altro da obiettare, il medico fa l’ordinanza inserendo tutti i dati ricevuti dalla scuola e la manda al Comune. Il sindaco, sulla base dell’ordinanza dell’ASP, farà la sua. Ergo: se la lista della scuola, con sotto la firma del dirigente scolastico, dovesse includere qualcuno che non doveva essere messo in quarantena, la responsabilità è del dirigente. Risalendo la filiera, la colpa è nostra. Siamo noi che facciamo il tracciamento, Asp e Comune copiano i nostri dati. 

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