Flop della chiamata veloce. Il vincolo quinquennale spaventa i docenti

Era temuto, ma valeva la pena provarci. La chiamata veloce per consentire agli iscritti nelle graduatorie (GAE e vecchi Concorsi) di scegliere una provincia diversa da quella di iscrizione per accedere ai posti disponibili per il ruolo non ha prodotto i risultati sperati.

I dati non definitivi che arrivano dalle diverse regioni mostrano i segni evidenti di un insuccesso, in qualche caso pressoché totale (nel Lazio tre domande per oltre 500 posti disponibili; Mario Pittoni, responsabile scuola della Lega, denuncia che ci sono stati solo 56 aspiranti in Lombardia e 54 in Veneto: “è la certificazione del fallimento di una procedura che ha sottratto tempo prezioso per organizzare le convocazioni dei supplenti e che ha avuto un costo amministrativo enorme”).

Forse è mancato in partenza il coraggio di rimuovere, se pur provvisoriamente, il principale ostacolo che probabilmente ha determinato sia diverse rinunce precedenti sia il non gradimento della proposta di chiamata veloce.

Ci riferiamo al nuovo vincolo quinquennale che, proprio a decorrere da questo anno scolastico, obbligherà i docenti immessi in ruolo a rimanere per cinque anni nella scuola assegnata, senza possibilità di chiedere trasferimento o assegnazione.

Se si considera che la maggior parte degli insegnanti risiede nelle regioni meridionali, mentre la quantità maggiore dei posti e delle cattedre vacanti si trova nelle regioni settentrionali, si può ben comprendere la ragione del rifiuto per evitare anni di lavoro lontano dalla famiglia.

Sui posti rimasti vacanti saranno, quindi, nominati supplenti.

Tuttoscuola, in tempi non sospetti, temendo proprio il verificarsi di queste situazioni, aveva suggerito di soprassedere temporaneamente all’applicazione di quella disposizione (Legge 159/2019: art. 1, co. 17-octies e 17-novies) in considerazione dell’emergenza sanitaria che rende questo anno scolastico particolarmente critico.

Il moloch del vincolo quinquennale, voluto per qualificare la scuola (sostegno alla continuità didattica), per il momento non aiuta a determinare la stabilizzazione sperata.