Fioramonti: ‘Ora più soldi agli insegnanti. E non perdete l’entusiasmo’

L’intervista di Tuttoscuola

Il Ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, racconta la scuola che ha in mente e il viaggio che la porterà al centro di una colorata riorganizzazione in cui ciascuno si senta protagonista dell’apprendimento. La sua strategia fa leva su alcuni elementi forti, come l’esperienza già fatta dell’ambiente ministeriale, la conoscenza del mondo accademico e della ricerca, una spiccata sensibilità su temi nuovi per rilanciare la scuola e tutta la filiera dell’istruzione e della formazione, uno sguardo volto al futuro. Il Ministro sa bene che le risorse economiche, sia come necessità sia come effetti indotti, sono indispensabili per una ”manovra espansiva” per l’istruzione e la ricerca. Le sue prime dichiarazioni sono state accolte con grande favore, ma anche suscitato grandi attese. Cruciale sarà la legge di bilancio: la scommessa è quella di riuscire a non relegare al solito duello, tra il suo dicastero e il Mef, la quantificazione delle risorse per istruzione e ricerca, ma di coinvolgere tutto il consiglio dei Ministri al rispetto di quanto dichiarato nel programma di Governo e dal presidente Conte. L’anticipazione dell’intervista di Tuttoscuola al ministro Fioramonti pubbliocata all’interno del numero di ottobre di Tuttoscuola.

Sfoglia il numero di ottobre di Tuttoscuola

Ministro Fioramonti nell’incarico di Governo che ora ricopre, quali vantaggi può portare la sua precedente esperienza di viceministro?

«Servirà proprio come esperienza. Nel ministero ci sono stato già più di un anno e questo aiuta. C’è da imparare da tutto, anche dalle grandi o piccole frustrazioni. E quello che penso sia mancato in questa esperienza proverò a proporlo io. Credo nel gioco di squadra, nel coinvolgimento. Per questo, da subito, alla nuova squadra “politica” che lavorerà con me, indicherò la mia idea di lavoro in comune. Nessuna energia andrà sprecata, c’è tanto da fare e ho voglia di fare tanto».

Come è andato l’esordio, che per un ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca è sempre sotto la lente di ingrandimento di una platea vastissima di dipendenti, studenti e famiglie?

«È proprio solo l’esordio, è passato ancora troppo poco dalla mia nomina. Sono entrato con l’inizio del nuovo anno scolastico. Diciamo che non mi è mancato il tempismo… Già dai primi incontri ho trovato un patrimonio di competenze nel mondo della scuola. Ho tante idee, ma poi in fondo mi sento solo uno strumento di un progetto da costruire tutti insieme».

Una collettività che vive un’epoca di grande cambiamento culturale, economico e politico, accompagnato da gravi tensioni sociali. Stanno venendo meno diverse certezze. Come immagina il futuro?

«Lo immagino migliore del presente, ma con una consapevolezza: il futuro dipende da noi. E dipende ancora di più dalle nuove generazioni, prima di tutto dai ragazzi che formeremo nella scuola. Ecco perché non basta immaginare il futuro. Bisogna accompagnarlo, riempirlo, dargli un senso».

Le linee programmatiche di Governo hanno dato un grande rilievo al tema dell’istruzione, della cultura e della ricerca. La Sua azione, nel merito e nel metodo, sarà determinante per affrontare le questioni e raggiungere gli obiettivi strategici indicati.

«Non avrei accettato la mia nomina senza questa premessa, senza questo impegno collettivo. Finalmente c’è un programma in controtendenza rispetto ai tagli di bilancio del passato. Possiamo rilanciare non solo la scuola, non solo la cultura e la ricerca, ma l’economia di tutto il Paese. I soldi investiti nell’istruzione danno frutto, moltiplicano la ricchezza. Il mio primo obiettivo sarà risolvere le emergenze, tornando perlomeno ai livelli di spesa di una decina di anni fa. Ci vuole visione, ma è essenziale il realismo. C’è da investire sull’edilizia scolastica: che senso ha proporre un modello di scuola innovativo, se un pezzo di soffitto cade in testa a uno studente? C’è da affrontare in modo equo il problema del precariato, e con i sindacati abbiamo ripreso subito in mano il decreto salva precari. I 55mila posti dei concorsi saranno divisi: metà precari, metà neolaureati. L’insegnamento stabile è una
necessità anche degli studenti. C’è da investire sulla ricerca, ed è questo che qualifica un Paese che guarda con fiducia al futuro. Ci vuole senso di responsabilità anche nella programmazione. Come per l’insegnamento dell’educazione civica che deve partire senza sperimentazioni improvvisate: prepariamoci bene e cominciamo nel 2020 come previsto».

Sempre di più assistiamo a episodi di violenza nei confronti del personale della scuola. Il problema nasce dalla delegittimazione sociale della professione docente. Crede che i bassi stipendi abbiano un peso?

«Gli stipendi inadeguati sono un problema a prescindere. Dei due miliardi che ho chiesto in più per la scuola più o meno la metà deve finire nella busta paga dei docenti. Chi fa un lavoro che può essere appassionante ma è anche duro, impegnativo, pieno di responsabilità come è quello dell’insegnante, deve essere retribuito meglio. Detto questo, in tempi dove il valore di una persona viene identificato con le apparenze, la risposta è sì, forse sì. Ma non è accettabile, e a maggior ragione in un contesto come la scuola, che si permetta che sia il guadagno a definire la dignità di una persona».

Leggi l’intervista integrale all’interno del numero di Tuttoscuola