Eurispes fa il punto sulla scuola del futuro: ‘Educazione diventi uno dei temi centrali dell’agenda politica’

L’Osservatorio sulle Politiche educative dell’Eurispes fa il punto sull’importanza di scuola e università per il futuro dell’Italia in vista della pubblicazione, nel 2023, del Secondo Rapporto sulla Scuola e sull’Università che uscirà a vent’anni di distanza dal primo. L’intenzione è quella di “far diventare l’educazione uno dei temi centrali dell’agenda politica per la ripresa del nostro Paese”.

“Nel rapporto del ’99ha commentato il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara nella riunione tenutasi nella biblioteca nazionale di Roma- segnalavamo che in Italia veniva destinato all’istruzione solo il 5,5% del Pil e alla ricerca appena lo 0,7%. E mettevamo in dubbio che un Paese avanzato come il nostro potesse progredire investendo così poche risorse in questo àmbito fondamentale. Purtroppo, non sono stati fatti grandi passi in avanti in questo senso, anzi, oggi l’Italia spende ancora meno per l’istruzione: il 4% circa del Pil. E l’investimento in ricerca arriva a sfiorare lo 0,5%”. 

Le speranze vengono dunque riposte nei finanziamenti del PNRR e per questo l’Osservatorio dell’Eurispes fa il punto per aiutare le realtà pubbliche e sensibilizzare la pubblica opinione anche sugli interventi strutturali già previsti. Cruciale, tra i tanti temi da affrontare, il rapporto tra processo educativo e mondo della formazione professionale: sono richieste nuove figure professionali, nuove competenze tecnico-pratiche, una diversa visione dello stesso reticolo occupazionale. C’è necessità di formare nuovi specialisti di lavori del quaternario avanzato. C’è necessità di formare i formatori. La previsione è che nei prossimi anni, il mercato del lavoro si indirizzerà sempre di più verso la sostenibilità ambientale e sociale, l’efficientamento energetico, l’ecosostenibilità, il digitale. Più del 50% dell’offerta di lavoro riguarderà questi settori e queste professioni. Una previsione di cui scuole e università devono tener conto. 

Secondo l’Eurispes, si tratta di una vera e propria rivoluzione del mondo del lavoro. Commenta il direttore dell’Osservatorio sulle Politiche educative dell’Eurispes, Mario Caligiuri: “I recenti programmi elettorali dei partiti – preceduti dalle scelte politiche successive al ’68 e fortemente accentuate dalle riforme continue e destabilizzanti susseguitesi dalla fine degli anni Novanta – hanno tutti assegnato, chi più chi meno, una funzione importante all’educazione. Complessivamente ci è sembrato di cogliere una dimensione inattuale. Infatti, si propongono interventi di dettaglio, quasi una manutenzione del dolore, senza una visione di largo respiro. Eppure, l’educazione è l’area delle politiche pubbliche più estesa in assoluto, che investe, direttamente e indirettamente, la maggior parte della popolazione italiana”.

Cosa fare dunque? Secondo Caligiuri, “non è stata approfondita la mutazione antropologica contemporanea dove gli studenti non vivono più in una sola dimensione, quella fisica, ma in tre dimensioni: quella fisica, quella virtuale e quella ibridata tra uomo e macchina. E sullo sfondo già si intravedono il Metaverso e la fisica quantistica. In tale quadro, assume un ruolo fondamentale l’educazione digitale che dovrebbe diventare una materia di base – come leggere, scrivere e far di conto – trasversale a tutti i saperi, poiché le attività umane si svolgeranno sempre di più sulla Rete. È un indifferibile problema di educazione nazionale e di sicurezza nazionale. L’Osservatorio sulle Politiche educative dell’Eurispes intende porre all’inizio della legislatura il problema della qualità dell’educazione, studiandolo con serietà per proporre soluzioni prossime e possibili”.

Il presidente Anvur, Antonio Uricchio, punta sulla valutazione integrata: “Come Presidente dell’Agenzia nazionale di valutazione della università e della ricerca sono pienamente consapevole della necessità di rafforzare qualità e valutazione del sistema formativo e accademico, considerandola in un’ottica sistemica e valutazione integrata, avendo riguardo ai legami tra Scuola, Università e Società e, allo stesso tempo, all’impatto sociale, economico, ambientale e/o culturale prodotto nei confronti dei fruitori finali e dei territori. In questa prospettiva, la didattica non è addestramento, la ricerca non è tecnica raffinata o linguaggio specialistico, la terza missione non è solo il rapporto con la realtà circostante. Valutare in modo complessivo e integrato obiettivi, strategie, politiche, lavori scientifici, struttura didattica, politiche di ricerca e di terza missione significa valorizzare, secondo la logica euristica, l’eccellenza e il merito e quindi i tratti identitari di ogni ente coinvolto, rendendoli visibili e riconoscibili”.

“Nel 2022 – spiega il Presidente dell’Invalsi, Roberto Ricci – il 9,7% degli studenti ha terminato la scuola secondaria di secondo grado in condizioni di forte fragilità, conseguendo esiti molto più simili a quelli che ci dovremmo attendere al termine della terza secondaria di secondo grado. Ma se guardiamo i dati nelle regioni, troviamo risultati molto diversi e in alcuni casi preoccupanti. Infatti, gli allievi fragili sono, ad esempio: 19,8% in Campania, 18,7% in Sardegna, 18% in Calabria, 16% in Sicilia. Sono dati veramente allarmanti per l’intera collettività nazionale, non solo per alcune regioni. E l’altro estremo della distribuzione, ossia gli allievi che terminano la scuola secondaria di secondo grado con risultati buoni o molto buoni? Questi allievi sono il 13,5% del totale a livello nazionale, ma salgono al 20% e oltre in Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Provincia Autonoma di Trento e Valle d’Aosta, ma oscillano solo tra il 5% e il 6% in Calabria, Campania, Sicilia e Sardegna. Le regioni che hanno quindi esiti più problematici non solo hanno molti allievi in condizioni di fragilità, ma anche pochi allievi che conseguono risultati solidi e robusti. È quindi in crisi tutta la filiera dell’inclusione, sia lungo la dimensione della fragilità sia quella dell’eccellenza. I dati standardizzati ci aiutano a individuare con criteri uniformi chi ha bisogno di maggiore aiuto, le competenze professionali della scuola permettono di cercare e trovare soluzioni adeguate. I dati Invalsi, pur nella loro parzialità, hanno contribuito a destinare le risorse finanziarie principalmente alle regioni del Mezzogiorno e alle scuole con esiti di apprendimento più bassi. Forse è giunto il momento di approfittare di un’opportunità unica e di cessare la battaglia ideologica contro uno strumento che ha consentito di destinare di più a chi ha più bisogno. È importante quindi che il sistema non perda di vista la misura di una situazione molto seria che, se non affrontata con vigore e determinazione, rischia di compromettere definitivamente la possibilità del Paese di prosperare e di competere nel contesto globale”.

Sulle scuole paritarie ha acceso i riflettori la vicedirettrice dell’Osservatorio Eurispes, Elena Ugolini: “Avere contezza dei dati relativi al mondo delle scuole paritarie in Italia può essere utile a capire se e in che modo la difesa e lo sviluppo del principio costituzionale della libertà di educazione possono migliorare il sistema nazionale di istruzione nel suo complesso. La situazione della scuola italiana non consente più di rimandare l’esame di questa vicenda che, insieme a quella delle modalità di formazione, selezione e formazione del personale nella scuola statale italiana, può condizionare in bene o in male la qualità della proposta didattica ed educativa di tutte le scuole italiane, su tutto il territorio nazionale. La non conoscenza dei dati, la tutela aprioristica di diritti acquisiti, il prevalere di preconcetti ideologici sono i tre motivi per cui non siamo disposti a cambiare per mettere veramente al centro lo scopo vero della scuola: la crescita umana, culturale e professionale di tutti gli alunni, nessuno escluso”.

Luca Bianchi, direttore dello Svimez, spiega come sia preoccupante lo spaccato sulla scuola e sulle sue infrastrutture uscito dalle anticipazioni del rapporto Svimez: raccontano di un Paese in grave difficoltà. Nel Mezzogiorno circa 650mila alunni (79% del totale) non beneficiano di alcun servizio mensa. Anche nelle regioni del Centro-Nord la situazione non è delle migliori: gli allievi senza mensa sono 700mila, il 46% degli studenti. Inoltre, sempre nel Mezzogiorno, circa 550mila allievi (66% del totale) non frequentano scuole dotate di una palestra. Ma il dato più allarmante è senza dubbio quello legato al tempo pieno e alle ore “perse” dei bambini del Sud rispetto ai loro coetanei del Centro-Nord: nel Mezzogiorno solo il 18% circa degli allievi accede al tempo pieno, rispetto al quasi 50% del Centro-Nord. Molto spesso la scuola non è in grado di offrire un servizio adeguato soprattutto per mancanza di infrastrutture idonee allo scopo (mense per l’appunto…), con il risultato di scoraggiare l’adesione delle famiglie. Il risultato finale è che gli allievi della scuola primaria nel Mezzogiorno frequentano mediamente 4 ore di scuola in meno a settimana rispetto a quelli del Centro-Nord. La differenza tra le ultime due regioni (Molise e Sicilia) e le prime due (Lazio e Toscana) è su base annua di circa 200 ore. Considerando un ciclo scolastico intero (5 anni), gli alunni di Molise e Sicilia perdono circa 1.000 ore che corrispondono a circa il monte ore di un anno di scuola primaria.

E si chiede: “I dati sulle infrastrutture scolastiche sono disponibili a chi deve implementare le politiche, come mai non si è pensato di destinare le risorse del PNRR in maniera puntuale, plesso scolastico per plesso scolastico, piuttosto che metterli a bando utilizzando procedure competitive? Mancano ancora quattro anni alla fatidica scadenza del Pnnr. C’è ancora tempo per modificare modalità e strumenti di intervento al fine di cogliere la straordinaria opportunità che l’Europa ci offre per colmare i divari sui diritti di cittadinanza, soprattutto con riferimento alla scuola. Il miglior investimento che un Paese possa fare per garantire un futuro migliore a sé stesso e ai propri giovani”.

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