Esempi di autonomia differenziata nell’istruzione/1. Esiste già
La Regione Emilia Romagna da almeno un paio d’anni sostiene finanziariamente quei comuni dell’Appennino, così detti delle aree interne, nei quali sono organizzate le pluriclassi nella scuola primaria. Si tratta di progetti che vanno ad integrare il curricolo, con il supporto di educatori assunti in collaborazione con associazioni del terzo settore. Ampliamento del tempo scuola, sperimentazione di modelli educativi per valorizzare le richieste del territorio, comprensivi di spese di trasporto per favorire occasioni di confronto tra scuole.
Si vogliono mantenere in vita piccoli istituti che devono spesso fare i conti con un basso numero di iscritti e quindi a rischio, per le classi o per l’intera scuola, di soppressione e si vogliono altresì garantire servizi innovativi per alunni e famiglie che hanno deciso di andare a vivere in montagna. Un’iniziativa che si inserisce nei così detti “patti di comunità” diffusi anche in territori di altre regioni, nati per rafforzare l’alleanza tra scuola e territorio e per sostenere i servizi educativi che si fondano sul modello delle pluriclassi nelle aree montane.
La stessa regione è stata la prima in Italia a prevedere per legge (LR 12/2003) l’integrazione tra percorsi di istruzione e formazione professionale. Un tale impianto, che avrebbe potuto inaugurare il nuovo canale previsto dalla riforma del titolo quinto della Costituzione, aveva lo scopo di sviluppare un rapporto più razionale tra scuola e lavoro, che fin da quei tempi si è cercato di costruire tra il versante statale e quello regionale e che il PNRR ha molto incoraggiato fino ad arrivare alla riforma della filiera tecnico-professionale attualmente in discussione in Parlamento.
Il Comune di Bologna ha messo a punto 10 azioni di una politica per gli adolescenti, tra le quali ci sono le scuole di quartiere: scuole secondarie di primo grado che restano aperte tutto il giorno e tutto l’anno, per l’attivazione di progetti extrascolastici, che da un lato si occupano di partecipazione, contrasto alla dispersione, supporto alla genitorialità, tutela della salute, ecc., e dall’altro sono inserite nelle reti civiche presenti nella città e con tutti i processi partecipativi, per permettere ai giovani di raccontare alla città stessa la propria idea di futuro e proporre progetti che portano al centro del dibattito pubblico le idee dei giovani.
Tre esempi, ma altri se ne potrebbero indicare in altre parti d’Italia, compreso il sud, che dall’autonomia trarrebbero maggiori risorse acquisendo maggiore efficacia per il territorio. Perché dover sottostare ad esempio ad un modello standard delle pluriclassi da integrare con progetti regionali/locali, mentre si potrebbe mettere in atto un’unica programmazione con l’impiego di personale statale? Oggi infatti è sempre più difficile trovare educatori, soprattutto dopo che viene loro richiesta l’iscrizione ad un albo professionale, con retribuzioni ancora più basse.
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