Esame di Stato 2004: un rito senza volto e senza anima. Fino a quando?

Dal 1999 non ha più neanche una precisa identità, un volto, un nome: la ex “maturità” ha assunto la denominazione ufficiale, e anonima, di “Esame conclusivo degli studi secondari”. Ma ora rischia di perdere anche l’anima, cioè lo scopo, la ratio che ne giustifica l’esistenza: cioè il carattere, la natura di “esame”.
Le recenti indagini sui diplomifici hanno messo in luce solo la punta dell’iceberg, i casi limite di mistificazione o di vera e propria truffa, nei quali neanche l’apparenza veniva salvata. Ma il vero problema è il grosso dell’iceberg, che resta sommerso in un mare di ritualità e di ipocrisia. E’ quasi indecoroso continuare a chiamare “esame” una procedura fatta di prove e verifiche che nel loro insieme sono assai meno significative delle prove e verifiche di fine anno alle quali i singoli (seri) insegnanti sottopongono i loro allievi.
Per questo sembra necessario accelerare al massimo – anche con anticipazioni sperimentali, che inizialmente potrebbero essere ad adesione volontaria – la predisposizione e la valutazione di prove oggettive da parte dell’INVALSI, come peraltro previsto nell’art. 3 della legge n. 53. Anche le disposizioni sul “portfolio” dovrebbero essere rapidamente attuate: non sarà facile, se non ricorrendo a veri e propri falsi (perseguibili), riempire un “portfolio” vuoto.
Il nostro Paese ha il dovere di muoversi anche perché da tempo l’Unione Europea (su iniziale input italiano) sta sollecitando le autorità educative nazionali perché rendano più significative, consistenti e trasparenti le loro certificazioni. Intanto da noi si potrebbe rivedere il “certificato” che dal 1999 accompagna l’anonimo “diploma conclusivo degli studi secondari”, inserendovi più specifici riferimenti al curricolo formativo di ciascun allievo, e una documentazione più probante sugli studi compiuti.