DPCM Valditara – Barachini: giornali in classe, in arrivo 3 milioni di euro alle scuole statali e paritarie
La prima volta che portai il giornale in classe fu nel mio primo giorno di docenza a scuola, nel lontano 2001. Io avevo poco più di venti anni, i miei alunni sei. “I bambini hanno tempo per conoscere le brutture del mondo, non è necessario scoprirle ora”, mi dissero alcuni colleghi inclini al quieto vivere. Io continuai, convinta che iniziare la giornata con la lettura di un giornale, ovviamente filtrata in base alla loro età, fosse un’abitudine giusta da fare acquisire ai piccoli con i quali vivevo a scuola, per una educazione civica concreta e reale, giorno dopo giorno.
La classe era la nostra casa comune, non c’era ancora tutta la strumentazione tecnologica che negli anni successivi sarebbe entrata a scuola. La distanza tra “il mondo fuori e il mondo dentro” era molto più larga di oggi e quelle mura ottocentesche erano il luogo in cui sentivo il dovere di far entrare, con cautela e in modo filtrato, il mondo nel quale gli studenti avrebbero dovuto imparare a muoversi. Il luogo dove imparare, tra le altre cose, anche a riconoscere la differenza tra una narrazione e l’altra di uno stesso fatto, a capire che una sala semivuota, se ripresa in un certo modo, diventa piena, ad acquisire l’abitudine di fare e farsi domande dopo aver letto qualsiasi cosa.
Dopo pochi giorni, iniziare la giornata con la lettura di un quotidiano era diventata una aspettativa per i bambini. Lo lasciavo sulla cattedra, a loro disposizione. Potevano toccarlo, maneggiarlo, sentirne il profumo dell’inchiostro, spiegazzarlo, trasformarlo in supporto per disegnare. Provavano a leggere parole che non avevano mai sentito, mi chiedevano il significato e da lì spaziavamo per entrare in un lavoro interdisciplinare condiviso. Intanto il loro vocabolario cresceva e la curiosità di apprendere cose nuove si rafforzava sempre più. E non è forse la curiosità il motore della conoscenza? Rispondevano con emozioni, con entusiasmi e con riflessioni per loro lapalissiane ma per me sorprendenti, come solo i bambini sanno fare quando ingenuamente danno a noi adulti punti di vista che arrivano come spade alla nostra coscienza.
Da allora sembrano passati secoli. I giornali non si vendono quasi più, chi li legge lo fa principalmente on line, i cellulari hanno invaso la nostra quotidianità, le fake news sono sempre più sofisticate e la sola idea di stare un’ora senza Internet è diventata per molti fonte di ansia. Il mondo è cambiato sì, ma resta la necessità di muoversi al suo interno acquisendo le competenze chiave attese dall’Unione Europea e concretamente declinate con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). E’ per questo che ha grande rilevanza il dpcm Valditara – Barachini: tre milioni di euro per giornali e riviste dentro le scuole statali e paritarie di ogni ordine e grado. Un decreto importante ma sul quale si è posta però poco l’attenzione dei media. E questo già la dice lunga: è necessario che il sistema dei media e il sistema della scuola accendano i riflettori sull’ importanza del giornale come strumento per arrivare concretamente, in classe, a compiti di realtà autentici, a distinguere consapevolmente le fonti autorevoli dalle fake new, a sviluppare lo spirito critico per diventare cittadini responsabili ed attivi.
Del resto, la mistificazione delle parole è sempre in agguato: lo si è visto con l’approvazione della Riforma 4 +2 dove la polemica si è incentrata non nel merito della riforma, che è evidentemente necessaria a questo punto della storia europea e italiana e quindi non attaccabile, ma sull’interpretazione della parola “addestramento” degli studenti, espressione che, tra l’altro, era già nella Buona Scuola di Renzi. A dimostrazione di come le parole, quando usate come armi improprie, diventino un boomerang se non sono supportate neanche dalla conoscenza di cosa si è scritto non molto tempo addietro. Del resto, chi può dire che non è necessario andare verso i percorsi quadriennali (tra l’altro ci provarono anche Berlinguer e la Fedeli, anni dopo) o che non serva rafforzare le materie di base? Chi può dire che non è un dovere della politica scolastica far sì che chi scelga l’istruzione tecnica e professionale esca dalla scuola con la competenza di candidarsi ad un lavoro che sa fare? Chi può non ammettere che molti studenti usciti dai tecnici non hanno mai visto un laboratorio, anche se presente a scuola? Chi può dire che non è necessario avere laboratori con docenti che ogni giorno si misurano con le difficoltà reali del mondo produttivo e professionale e che quindi sappiano dare ai ragazzi quelle skills che la parte teorica non contempla? O c’è forse qualcuno che può sostenere che non sia necessario offrire agli studenti più scambi internazionali, visite e soggiorni di studio, stage all’estero?
La risposta del ministro Valditara, lo si è visto alla Camera, è stata citare la Treccani per ricordare a tutti il significato di “addestramento” in lingua italiana. E’ quello che si fa nella scuola, dalla primaria, con gli studenti: guidarli a ritrovare il giusto significato delle parole, il loro reale valore, il loro peso. In altre parole, ripristinare la verità delle cose. Un po’come si fa per smontare le fake news: attraversare il fitto bosco delle parole distorte per arrivare a quelle vere.
Senza dubbio, nei giornali ci sono tante parole nuove per i ragazzi: uno strumento prezioso, considerato che delle circa 150 mila parole della nostra lingua madre, il 96% degli italiani ne usa meno di 5mila. Per comprarli, in base al decreto firmato dalla Presidenza del Consiglio e dal ministro Valditara, le scuole possono avere un contributo fino al 90 per cento. La scelta tra quali quotidiani, periodici e riviste scientifiche e di settore, anche in formato digitale, fare arrivare a scuola spetta ovviamente al collegio dei docenti, anima della democrazia scolastica. C’era già, obietterà qualcuno, la possibilità di avere giornali a scuola. Si, ma il dpcm quest’anno va oltre: oltre all’impegno di tre milioni di euro, va incontro alle scuole semplificando le procedure amministrative (il contributo non è più vincolato ai programmi di educazione alla lettura che comunque possono essere avviati per accompagnare l’arrivo del giornale in classe) ed allarga la finestra temporale, motivo per cui le scuole, per la prima volta, avranno i giornali per tutto l’anno solare. Altro indicatore della volontà di mantenere la casa degli studenti e dei docenti aperta tutto l’anno, come già è stato evidente con il Piano estate, e concretamente aperta al territorio e al mondo.
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