Dopo lo stop al finanziamento dei partiti ora tocca ai sindacati?

Tra i suoi progetti riformatori il neo-eletto segretario del PD, Matteo Renzi, ha lanciato due sfide: cancellare il finanziamento ai partiti e quello ai sindacati.

Il premier Letta lo ha preso subito in parola, approvando nel primo consiglio dei ministri il decreto legge che prevede l’azzeramento graduale del finanziamento ai partiti. Ma i sindacati ricevono finanziamenti dallo Stato? Se sì, quali sono le opzioni per ridurre questa spesa?

Il finanziamento in modo indiretto c’è e le strade per ridurlo o azzerarlo sono state già studiate.

In una Nota sul finanziamento diretto e indiretto del sindacato, curata poco tempo fa da Giuliano Amato su incarico della Camera dei Deputati, sono state formulate varie ipotesi, riguardanti interventi rispettivamente sui distacchi sindacali, sui patronati (Inas, Inca, ecc.) e sui Caf (Centri di assistenza fiscale).

I distacchi sindacali sono una caratteristica del Pubblico Impiego, dove i dirigenti sindacali distaccati dal lavoro, mantengono integralmente lo stipendio, pagato però dall’Amministrazione pubblica (nel settore privato non esistono questi tipi di distacco sindacale). Sono attualmente circa 2.500 per un costo annuo, a carico delle casse statali, che sfiora i cento milioni. Alcuni anni fa la legge ne ha disposto la riduzione (erano circa 4mila).

Queste in sintesi le proposte Amato per intervenire sui distacchi:  

La prima – e la più drastica – è quella di adottare nel pubblico la regola che prevale nel privato, e cioè porre a carico del sindacato la retribuzione del dipendente chiamato ad incarichi sindacali fuori dal luogo di lavoro. Va segnalato che una tale opzione, ammesso che sia tollerabile dai grandi sindacati, difficilmente lo sarebbe da quelli minori, pur rappresentativi come ad esempio i sindacati di polizia, che mai avrebbero le risorse per sostenere la spesa.

La seconda opzione è quella seguita sino ad ora, e cioè quella di ulteriori riduzioni del contingente.

La terza opzione potrebbe essere quella di incentivare i sindacati a utilizzare propri iscritti in pensione per gli incarichi direttivi fuori dai luoghi di lavoro. L’ipotesi potrebbe essere collocata nei contratti in modo da trovare in questi le appropriate modalità di incentivazione.

Infine, oltre ai distacchi nel pubblico impiego, Amato considerava (con molto scetticismo) la possibilità di ridurre o eliminare i contributi per il funzionamento dei patronati (poco meno di mezzo miliardo all’anno).