Docenti specialisti, aveva ragione la Falcucci?

Quando alla fine degli anni ’80 venne preparata la riforma degli ordinamenti della scuola elementare da cui sarebbe nata poi la scuola dei moduli (tre docenti ogni due classi), il ministro Franca Falcucci, protagonista di quella stagione di riforme, propose un modello innovativo che cercava di coniugare funzionalmente le caratteristiche della scuola elementare con quelle della secondaria: classe affidata ad un docente per gli insegnamenti di base con il concorso di insegnanti specialisti in funzione di “satelliti“.
Il suo progetto, riferito soprattutto al triennio finale della elementare, lasciava intendere un’organizzazione simile a quella della scuola secondaria (e forse con un pensierino all’impiego dei professori specialisti).
La sua idea venne contrastata soprattutto dai sindacati e dalle associazioni professionali della scuola elementare che paventavano un rischio di eccessiva secondarizzazione del settore e uno svantaggio per l’occupazione dei maestri. Il modello che alla fine prevalse escluse gli specialisti (soprattutto se esterni) – secondo una logica chiaramente corporativa – e preferì una conduzione paritaria, senza prevalenze tra i docenti e senza specialisti di disciplina veri e propri.
A distanza di quasi vent’anni, se si guarda a quel che avviene oggi in molte scuole primarie, soprattutto delle grandi città, dove è ormai invalso il ricorso a specialisti esterni di attività motorie, artistiche o musicali (pagati dalle famiglie) in sostituzione dei docenti titolari ma non specializzati, c’è da chiedersi se non aveva visto giusto la Falcucci.