Docenti insegnanti-e-ricercatori per combattere la crisi della scuola

La lettrice Gabriella Villa ci ha scritto sul tema della valutazione dei dati Ocse aperto da Salvatore Provenzani. Ne pubblichiamo volentieri l’intervento.

Invitiamo gli altri lettori a inviarci le loro opinioni sul tema (o su altri temi nuovi da proporre), scrivendoci come di consueto a botta_e_risposta@tuttoscuola.com.

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Approfitto della sollecitazione introdotta dal dirigente scolastico Salvatore Provenzani, per presentare una mia riflessione agli altri lettori.

La scuola italiana è sotto gli occhi di tutti in grande crisi strutturale e di contenuto.

Strutturale, perché è evidente che la formula finora applicata, e mi riferisco in particolare all’organizzazione della secondaria, non funziona più. Ce lo dicono i dati OCSE che, anche se a qualcuno non piacciono, comunque rappresentano un modo per compararci ad altri Paesi e ai loro sistemi scolastici e come tali diventano un importante elemento di analisi e riflessione.

Di contenuto, perché anche se il dibattito su questi aspetti non si è praticamente mai aperto nel nostro Paese è evidente che c’è qualcosa che ha bisogno di essere cambiato anche a livello di proposta culturale se succede, come succede che per le caratteristiche che sta assumendo la popolazione scolastica attuale, la proposta culturale di questa scuola è sempre meno appetibile per i palati dei nostri adolescenti e per i giovani in genere.

A fare da cornice a tutto questo c’è, come è stato da più parti rilevato, il problema ineludibile a questo punto della storia della scuola italiana, della formazione dei docenti. E non solo della formazione in ingresso ma della formazione permanente della classe docente che a oggi non è in grado di affrontare con cognizione di causa le problematiche che nelle classi emergono in modi eclatanti.

Sono incapacità di analisi e di metodo e non consentono, alla stragrande maggioranza dei docenti che tale formazione non hanno e non hanno avuto, di mettere in atto strategie adeguate ai bisogni dei nuovi studenti che riempiono le classi.

Una soluzione possibile, forse anche praticabile, potrebbe essere quella di consentire ai docenti in servizio di attuare forme miste di insegnamento e ricercazione, riconosciute e incentivate anche sul piano economico, per cercare di smuovere l’immobilismo che ingessa una categoria che trova pochi stimoli a fronte di situazioni che diventano sempre più ingestibili ed estranee a una “cultura professionale” che non ha più risconti oggettivi nella realtà.

Gabriella Villa – Sportello Scuola – Treviglio (BG)

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