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Dislessia. A chi spetta la diagnosi?

Il testo della proposta di legge sulla dislessia, già approvato all’unanimità dal Senato, è stato emendato in diverse parti dalla Camera e dovrà ritornare a Palazzo Madama per l’approvazione finale.

Un passaggio del testo è stato confermato nella sostanza e nella forma. È quello che si riferisce alla diagnosi dei disturbi specifici di apprendimento (DSA) nelle diverse forme oggi individuate: dislessia, discalculia, disgrafia e disortografia.

L’articolo 3 recita testualmente: “È riconosciuta la diagnosi di DSA effettuata dagli specialisti del Servizio sanitario nazionale. Tale diagnosi è comunicata dalla famiglia alla scuola di appartenenza dell’alunno.”

La diagnosi spetta dunque agli specialisti del Servizio sanitario nazionale.

Forse sarebbe stato preferibile integrare questa disposizione con “… e soggetti convenzionati con le Asl” per assicurare interventi rigorosi, rapidi e competenti ad integrazione di quelli delle Asl, ma il valore di quel dispositivo sta, comunque, nell’escludere la possibilità, come oggi sta avvenendo, che qualsiasi medico specialista di fiducia della famiglia possa diagnosticare situazioni non effettivamente connesse a disturbi specifici per giustificare condizioni scolastiche non troppo brillanti degli studenti e metterli al sicuro da valutazioni scolastiche negative.

Attualmente la stima del numero di studenti affetti da DSA, secondo le associazioni di categoria, è intorno al 4% dell’intera popolazione scolastica, per una quantità complessiva compresa tra le 300 e le 350 mila unità, la metà dei disabili con certificazione di handicap.

L’entità del fenomeno e la dimensione di queste patologie richiedono, quindi, la certezza della diagnosi che possa garantire, soltanto a chi ne ha effettivamente diritto, gli interventi dispensativi e le misure compensative che le scuole dovranno assicurare.

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